III domenica di Quaresima/A (La samaritana)
La
samaritana (Gv 4,5-42).
Da: "Il Vangelo dell'amore" (2015) di Stefano Liberti
La samaritana rappresenta la sposa eretica e
infedele, andata dietro a tanti amori, che Gesù, lo sposo, cerca di “sedurre”
per riconquistarla[1].
É significativo anche il luogo dove avviene l’incontro: ai bordi del pozzo dove
Giacobbe aveva corteggiato Rachele (Gen 29,9ss.) e Mosè le figlie di Reuèl, per
sposare Sipporà (Es 2,16-22).
La samaritana non ha nome, dunque è una di noi, e
compare in scena mentre va a prendere l’acqua in un orario insolito (“era circa mezzogiorno”), quando il sole
picchia con forza e la gente rimane rintanata a casa. Gesù, diretto in Galilea,
sceglie[2] di
passare per la Samaria. Quando la samaritana arriva, lui è solo (“i suoi discepoli erano andati in città a
fare provvista di cibi”), seduto presso il pozzo, assetato e affaticato per
il viaggio.
“Dammi da
bere” le dice Gesù. Il primo approccio è quello di colui che chiede aiuto
(non ha con sé un secchio per attingere dal pozzo), esponendosi con l'umiltà di un povero che tende la mano.
Lo sposo ha sete di essere amato per poterti dare un amore che non ha fine.
A fronte della reazione della donna samaritana e dei
suoi discepoli – reazione in cui si sente l’eco dei sospetti che in ogni epoca,
oggi certo in modo più sfacciato, sorge nei confronti del desiderio amoroso –
risalta ancor più l’intensità dell’amore di Gesù, che non teme di affrontare i
sospetti e subire maldicenze pur di dichiarare il suo amore[3].
Il dialogo ruota attorno al tema dell’acqua e della
sete, simboli dello Spirito e del bisogno vitale, di dissetarsi, ma anche di
dissetare la propria sete di amore.
Ti darò – sembra dire Gesù - un'acqua
che diventa in te sorgente. Quest'acqua viva è l'energia dell'amore di Dio. Se
lo accogli, diventa qualcosa che ti riempie, tracima, si sprigiona da te, come
una sorgente che zampilla "per la vita", che fa maturare la vita, la
rende autentica e indistruttibile, eterna. In te, ma non per te: la sorgente è
più di ciò che serve alla tua sete, è per tutti, senza misura, senza calcolo,
senza fine.
Vai a chiamare colui che ami.
Quando parla con le donne, va diritto al centro, al pozzo del cuore. Solo fra
le donne Gesù non ha avuto nemici, il suo è il loro stesso linguaggio, quello
dei sentimenti, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere.
Non ho marito. E Gesù: hai detto bene, erano cinque. Ma non istruisce processi, non cerca indizi di colpevolezza, cerca indizi d'amore; non le chiede di mettersi prima in regola, le affida un dono; si fida e non pretende di decidere per lei il futuro[4].
Non ho marito. E Gesù: hai detto bene, erano cinque. Ma non istruisce processi, non cerca indizi di colpevolezza, cerca indizi d'amore; non le chiede di mettersi prima in regola, le affida un dono; si fida e non pretende di decidere per lei il futuro[4].
Seguiamo ancora le riflessioni
proposte da Fumagalli:
Gesù non è di coloro che si dichiarano solo se sono
sicuri di essere corrisposti. Il suo non è un desiderio calcolato, ma il
proverbiale sbilanciamento dell’innamorato che affronta coraggiosamente
l’eventualità del rifiuto pur di non dover soffocare il suo desiderio d’amore,
imbavagliandolo dentro se stesso.
In questo caso Gesù non ha incontrato il rifiuto: se
lo avesse incontrato lo avrebbe rispettato. Ai suoi discepoli lui stesso ha
insegnato che l’annuncio dell’amore di Dio fa conto della libertà dell’altro,
correndo il rischio del rifiuto che va, quindi, riconosciuto e accettato: “Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite
dalle loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza
contro di loro” (Lc 9,5).
Intuendo la sete d’amore della donna, Gesù non si
ferma al sospetto di lei, e comincia a operare affinché la sete possa
manifestarsi ed essere così corrisposta. (…)
Desideroso di effondere il suo amore, Gesù invita la
donna a pescare in profondità di se stessa, ad osare di entrare in quel pozzo
profondo che è il suo cuore per avvertire il desiderio di amore che ivi vi
arde. Con grande maestria lascia intendere alla donna – mantenendo ancora il
riserbo su ciò che realmente intende – la possibilità di essere appagata oltre
i surrogati di appagamento che ella già conosceva. Quest’arte del mostrare
nascondendo, del vedo/non vedo è la migliore strategia per accendere e
ravvivare il desiderio amoroso: “Se tu
conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!” tu
avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.
La corda giusta è stata toccata: il colloquio può
ora procedere non più legato al sospetto, ma agganciato al desiderio di Gesù e
della donna.
La sollecitazione del desiderio autentico, più che
non il rimprovero per le forme inadeguate del suo appagamento, sortiscono
l’effetto di rompere la superficialità e consentire alla donna di avvertire la
profondità dell’amore che desidera: “Dammi
di quest’acqua, perché io non abbia più sete”. Gesù le ha concesso di
credere in un’acqua viva che non rientra nei canoni dell’ovvietà quotidiana e
dello schema bisogno-soddisfazione. A questo riguardo va notato che Gesù, per
quanto assetato, trattiene la sete fisica affinché la sete più profonda che lo
anima, il desiderio di amore e di essere ricambiato, possa manifestarsi[5].
La conclusione la affidiamo a Cantalamessa, che
scrive:
I due tipi di acqua, messi in contrasto, indicano,
qui, due modi di concepire e di realizzare la propria vita, due scopi, due
orizzonti diversi. La donna samaritana ha cercato finora di dare senso alla sua
vita e di riempire il vuoto del cuore con l’amore di un uomo. Ma inutilmente
se, come le rivela Gesù, è passata attraverso cinque mariti e al presente vive
con un amante. Finora non ha fatto che bere dell’acqua “che non è in grado di
estinguere la sete”, cioè cercare la felicità dove non c’è, o è di corta
durata.
Alla samaritana, e a tutti coloro che in qualche
misura si riconoscono nella sua vicenda, Gesù fa una proposta radicale: cercare
un’altra “acqua”, dare un senso e un orizzonte nuovo alla propria vita. Un
orizzonte eterno! “L’acqua che io darò diventerà in lui sorgente che zampilla
per la vita eterna”[6].
Il che non vuol dire rinunciare all’amore umano, ma
cercarlo e viverlo in Dio, sorgente inesauribile di vero amore.
[1] Cfr. A. Fumagalli, Come
lui ha amato, p.43 (“Nelle parole e ancor prima nell’atteggiamento
di Gesù traspare il suo reale e intenso desiderio di suscitare interesse e di
tessere una relazione con la donna samaritana; ma forse, proprio questo suo
desiderio, se osservato con occhi, o meglio, con cuore impuro, potrebbe anche
scandalizzare”, id.).
[2] “Doveva” esprime la necessità teologica,
il progetto di Dio. “Bisogna che lo Sposo
passi per la Samaria, per incontrare la sposa perduta: bisogna che il Figlio
vada incontro ai suoi fratelli lontani, per riportarli all’unica famiglia del
Padre” (S. Fausti, Una comunità legge
il vangelo di Giovanni, p.85).
[3]A. Fumagalli, Come
lui ha amato. p.48
[4] E. Ronchi, omelia
per la III domenica di Quaresima, anno A (23 marzo 2014).
[5] A. Fumagalli, Come
lui ha amato, pp. 48-54
[6] R. Cantalamessa, Gettate
le reti, vol1, p.87
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Gesù comunica svelandosi progressivamente, partendo dal suo bisogno, dalla sua fragilità: è la debolezza che rompe le barriere di diffidenza che c'erano tra giudei e samaritani, tra uomini e donne e permette che i due si avvicinino senza paura. Solo allora inizia a rivolgerle domande sempre più grandi e nasce in lei la vera domanda: "Come adorare Dio? Come incontrarlo?"
Quante volte andiamo incontro agli altri carichi delle nostre risposte, senza aver dato loro il tempo di farsi le giuste domande.
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(Sieger Köder, 2001, Ellwangen, Sieger Köder Museum Bild und Bibel)
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice : “Dammi da bere”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gv 4,5-42
Mai, l’arte, aveva dato un’interpretazione così ardita dell’incontro tra Gesù e la Samaritana. Aveva proposto, al massimo, delle Samaritane agghindate (ad es. nei mosaici di Ravenna, Monreale e Venezia) e avvenenti (da metà Cinquecento in avanti: Tintoretto, Veronese, Annibale Carracci…), per rendere le capacità seduttive di questa donna. O la sete d’amore, difficile da spegnere. Vicina, per di più, al pozzo di uno che, proprio attingendo acqua, s’era acceso per Rachele, l’amore della sua vita.
A Gesù, che è solo e le chiede da bere, la Samaritana fa rilevare la loro incompatibilità. Ma lui fa cadere il pregiudizio, offrendole uno dei più intriganti biglietti da visita: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice…».
Ancorata pure alla fisicità, la donna non capisce come sia possibile dare acqua viva senza un secchio. E, non appena Gesù tira in ballo i suoi cinque mariti e il convivente, lei comincia a intuire la differenza tra bisogno e desiderio. Scoprendo un amore più alto, nel quale si conosce e si è conosciuti in modo sublime.
Il pittore (un sacerdote tedesco morto due anni fa), pur non all’altezza dei dialoghi del racconto di Giovanni, ne coglie la profondità: guardando nella propria interiorità, la donna si sente amata da Dio e capace di amarlo.
Un altro artista (nella Basilica di S. Marco, a Venezia) non ha voluto scordare l’esito della storia, quando la Samaritana – lasciata l’anfora, ormai inutile – chiama la gente a vedere chi, svelando se stesso, ha svelato anche lei a se stessa.