Omelia per la XIX domenica del tempo ordinario ("Coraggio, sono io, non abbiate paura!")
Mt 14,22-33
La prima lettura ci
ricorda che non è facile riconoscere la presenza del Signore e che questa si
manifesta non nei grandi eventi, ma nella “brezza leggera”. Come Elia dobbiamo
imparare a riconoscerlo nella nostra quotidianità, nell’ordinarietà della vita:
il segno della
sua presenza è il mormorio di un vento tranquillo, simbolo di intimità della
conversazione divina con il profeta, dell’esperienza interiore e personale che
facciamo con Dio.
Il monte
(Oreb) e la presenza/assenza di Dio uniscono la prima lettura e il Vangelo:
“dopo
che la folla ebbe mangiato”, collega il brano a ciò che lo precede: la
moltiplicazione dei pani e dei pesci, esperienza di come Dio ci sazi in
abbondanza e di come la celebrazione eucaristica sia fonte di vita.
Gesù
costringe i suoi ad andare avanti. Ha bisogno di un momento di intimità con
Dio: si ferma, da solo, a pregare sul monte.
I
discepoli sono sulla barca e affrontano una tempesta improvvisa. Sappiamo come
questa sia l’immagine ricorrente della Chiesa, chiamata ad attraversare le
tempeste in una barchetta che a volte sembra abbandonata da Dio (con Gesù che
dorme, quasi indifferente o, come in questo caso, che sembra lontano). La
Chiesa/barca deve andare contro corrente e Gesù può apparire come un fantasma,
una presenza inquietante, indefinibile, non scontata, ma colta solo nella fede
che non è esente dai dubbi e dal buio (“E’ un fantasma”? Cioè ci stiamo
inventando tutto noi? Suggestionando? E’ veramente lui?).
È Gesù
che si rivela (“Io sono”, titolo divino che rimanda a Mosè che incontra Dio nel
roveto ardente) e ci invita ad avere coraggio, a non avere paura.
Appena
conclusa l’avventura della GMG di Lisbona, invitati a condividere le prime
impressioni, avevo in mente proprio questa parola: “Coraggio”. Non demoralizzarti
per la fatica, per l’apparente insuccesso della Chiesa, per la tua difficoltà
ad animare una comunità ecclesiale che sembra un po' spenta, quasi intorpidita,
forse delusa. Certo l’entusiasmo della “gioventù del Papa”, i numeri
trionfalistici dei giovani presenti danno speranza e coraggio, ma sappiamo che
non sono questi eventi a cambiare la Chiesa e il suo futuro incerto. Il
coraggio ci viene da Dio stesso che si rende presente attraverso gli eventi
della vita e le persone che ci stanno accanto. Il coraggio ci viene dal suo
invito a “camminare sulle acque” (immagine di chi non si lascia risucchiare
dalle forze contrarie) e “andare verso di lui”, avvicinarci a lui.
Il
coraggio contiene la parola “cor”, cuore: è l’invito a metterci cuore nelle cose
che viviamo, a farle con il cuore, con profondità e sentimento.
Ma la
paura sembra prevalere: Pietro, guardando a Gesù e seguendo il suo invito,
impara a camminare sulle acque, ma abbassando lo sguardo alla furia delle
acque, alle difficoltà della vita, si ritrova bloccato e inizia ad affondare.
Altra immagine della nostra (poca) fede: se guardiamo a Gesù, se seguiamo la
sua parola, possiamo trovare il coraggio per fare cose impensabili e
apparentemente impossibili, non alla nostra portata. Ma se guardiamo alle
nostre fragilità, se ci fissiamo su noi stessi, ridiventiamo preda della paura.
Diceva il santo papa Giovanni XXIII: “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue
speranze e i tuoi sogni”.
“Pietro invece chiede consiglio alla paura e
affonda. Nel pieno del miracolo dubita, mentre è preda del dubbio crede:
“Signore, salvami!”. Dio salva, questa è la fede.
Radice inalienabile della fede è un grido che ci rimane in cuore:
Signore ho bisogno, salvami. Niente lo cancella, neppure nell’uomo più perduto
o distratto, neppure nel non credente. Viene il momento dell’affondamento,
della paura, viene per tutti. Il primo gradino della fede è un grido. O anche
il gemito di un dolore senza parole: ho bisogno! Abbiamo tutti provato un
principio di discesa nelle acque della disperazione, un fallimento nei rapporti
umani, una malattia grave, e forse proprio lì abbiamo trovato la forza di
gridare a Lui, senza nessun merito, il coraggio di fidarci e di affidarci. E
Lui ha allungato ancora un po’ quella mano che non ha mai cessato di tenderci.
E ci siamo aggrappati, ce l’abbiamo fatta. Quante volte siamo stati tirati
fuori!
(E. Ronchi).
Gesù rimprovera Pietro per
la poca fede mostrata. Forse ci rimprovera per la nostra poca fede:
quella di chi non si affida a Dio, non gli chiede con insistenza aiuto, non
porge la sua mano verso la sua con una preghiera accorata, non affronta le
difficoltà con il coraggio che Dio ci dona assicurandoci la sua presenza e il
suo aiuto.
Signore, salvaci dalla poca fede, dall’affidarci a noi
stessi e affondare in un mare di oscurità, in preda alle forze contrarie. Vieni
in nostro aiuto e liberaci dalla paura di dover affrontare le difficoltà da
soli.