Letto (e consigliato): "Isacco. Il figlio imperfetto"
Gianni Marmorini, ISACCO. IL FIGLIO IMPERFETTO
Claudiana
2018, 19.50 euro, p. 217
Abramo è veramente il fedele perfetto? E suo figlio, Isacco, perché rimane nell’ombra del testo biblico?
Isacco “non
riesce ad avere una personalità propria: persino nei racconti che lo riguardano
non domina mai la scena, non riveste mai il ruolo di protagonista, ma fa sempre
da comprimario a tutti i personaggi con cui interagisce. Il suo stesso nome –
che può essere tradotto con “riderà” – richiama più che la gioia, una certa
allegria che non ha riscontro negli episodi che lo riguardano” (p.9).
Dio si
compiace della creazione compiuta: “era cosa molto buona”. Tuttavia i racconti
successivi sembrano contraddire questa sua affermazione: il serpente, il
peccato di Adamo ed Eva, l’omicidio di Abele da parte del fratello Caino…fanno
dire a Dio che il cuore dell’uomo è malvagio (“E il Signore si pentì di aver
fatto l’uomo”). Riconosce di aver fallito e cerca una soluzione nel diluvio universale. Vuole
ripartire da Noè con una nuova creazione, un mondo perfetto. Ma ciò che cambia
è invece l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo: riconosce che il male
è inestirpabile dall’uomo e si allea con quest’uomo imperfetto: “Dio si rivela
come il Signore Dio che decide di abbracciare l’essere umano nella sua
imperfezione: e lo fa in maniera totale, senza condizioni né ripensamenti o
riserve”. (…) “La prima conversione che la Bibbia ci mostra è quella di Dio,
che non cercherà più di cambiare la natura dell’essere umano, ma stringe con
lui, in modo convinto e appassionato, una relazione che le successive pagine
della Bibbia riveleranno essere una relazione d’amore” (p.15).
ABRAMO
I
patriarchi biblici non sono eroi: vengono descritti con le loro contraddizioni,
le loro fragilità. Così è per Abramo, il
padre della fede, chiamato a lasciare il suo passato per un futuro incerto. Dio
lo invita: “Va PER TE dalla tua terra”: per il tuo vantaggio, per il tuo bene: “Dio
non impone il sacrificio ma, al contrario, l’amore per la vita come prova della
fede. (…) Dio chiede ad Abramo di abbandonare uno stato di morte e di
intraprendere un cammino di vita” (p.29). Quando Dio da un ordine, lo dà per il
bene dell’uomo: “il comando divino non mira primariamente all’obbedienza, ma
alla piena realizzazione umana. Dio ordina ad un uomo (Abramo), rimasto nell’ombra
del padre e senza figli, di abbandonare una vita forse più sicura ma senza più
alcuna aspettativa, una vita in qualche modo terminata ancora prima di morire.
(…) Più che un Dio che chiede ad Abramo di sacrificare il suo passato e la sua
vita, siamo di fronte a un Dio che chiede di credere in un futuro non solo
impossibile ma anche inimmaginabile, in qualcosa di totalmente nuovo,
inaspettato e sorprendente” (p.30).
La piena
disponibilità di Abramo ha qualche ombra: si porta con sé il nipote Lot (non
doveva abbandonare i suoi parenti?) insieme a tutti i suoi beni e a tutte le
persone che si era procurate! E inizia una vita nomadica! “Il continuo migrare
di Abramo nella terra di Canaan indica che il vecchio patriarca non è ancora
pronto per affondare radici profonde e durature nella terra promessa. Le
peregrinazioni di Abramo, infatti, sono simbolo di incertezza e indecisione”.
(p.33). Sopraggiunta una carestia si trova così a scendere in Egitto e qui a “sacrificare”
la moglie per salvaguardare la sua vita. Appare “debole, avido, meschino. (…)
Dio ha promesso al patriarca terra e discendenza e Abramo, per contro,
abbandona la terra e lascia che il faraone porti sua moglie nell’harem” (p.35)
in cambio di una ingente dote. Sembra che l’intenzione di Abramo sia quella di
liberarsi di una moglie bella, ma sterile. Sarà Dio ad intervenire per
riportare la moglie ad Abramo e farli tornare nella terra promessa che lascerà
di nuovo per risolvere il conflitto scoppiato con il nipote Lot a causa delle
loro reciproche ricchezze. Sembra non interessargli quella terra donata da Dio.
In cambio Dio rinnova le sue promesse: “La fedeltà divina risulta così
assolutamente incondizionata, una fedeltà che quasi non si accorge della
meschinità dell’altro” (p.38).
Improvvisamente
ci troviamo di fronte a un nuovo Abramo: condottiero vittorioso in una guerra
con i re locali. Ma Dio tace per intervenire nel successivo capitolo rinnovando
la sua alleanza (unilaterale, senza condizioni). Abramo esprime i suoi dubbio e
contesta Dio: non ho figli ed erede sarà il mio domestico. Appare ora come un
uomo sconfitto e sfiduciato a cui Dio risponde con tenerezza rinnovando la sua
fedeltà. Abramo tuttavia chiede un segno e Dio lo accontenta (preparando un
sacrificio che Dio accenderà, mentre Abramo dorme: Dio sigilla il suo patto
unilaterale).
A questo
patto segue la narrazione di una “scappatoia umana: la nascita di Ismaele (che
significa “Dio ascolta”” attraverso la serva Agar. Questa donna straniera viene
costretta a giacere con il suo padrone e rimane incinta. Con la gravidanza Sara
diventa gelosa e costringe Abramo a cacciarla. Abramo accetta e, con
indifferenza, mette a rischio la vita della schiava, ma anche del figlio che è
suo e che potrebbe essere la realizzazione delle promesse di Dio. Agar viene
salvata dall’intervento di Dio che si mostra come protettore dei più deboli (“custode
e protettore della vita”).
“Il
cap.15 attesta la fedeltà eterna e incondizionata di Dio al patriarca; il
cap.16 mostra che questa fedeltà custodisce ogni persona, senza alcuna
distinzione di merito, di sesso o di condizione sociale” (p.62).
13 anni
dopo Dio ribadisce il suo patto chiamando Abram Abramo e Sarai Sara. Chiede di
circoncidere tutti i maschi, mostrando così di trovare l’integrità nell’imperfezione.
Abramo rimane in silenzio, mostrando così la sua perplessità. Ride
interiormente delle parole di Dio a motivo della sua anzianità. “Abramo mostra
di non credere affatto alla promessa, ne ride in cuor suo e invoca semmai Dio per
il figlio che già ha. Abramo, il padre della fede, è qui nuovamente presentato
come un uomo senza fede, incapace di fidarsi e deciso a fare affidamento su un’alternativa
alla promessa” (Ismaele) (p.71). Tuttavia Abramo, a modo suo, anche questa
volta obbedisce alle richieste di Dio.
Anche
Sara ride dell’annuncio della nascita di un figlio. Non crede di esserne in
grado e non ha da tempo rapporti intimi con Abramo. Sono rassegnati. Sembra che
i tre visitatori vogliano invitarli ad avere rapporti tra loro e fiducia nella
potenza di Dio.
Prima
della nascita di Isacco si descrive la distruzione di Sodoma: “Un bambino di
fronte a tutto il male del mondo: (è questa) la strategia di Dio per diffondere
la sua benedizione su tutte le famiglie della terra. (…) Dio non oppone il male
al male, ma si affida alla forza della fragilità, dell’impotenza e della
tenerezza di un bambino”. (p.86)
Abramo si
sposta nuovamente verso sud, presenta ancora una volta sua moglie come se fosse
sua sorella e lascia che il re di Gerar la porti nel suo harem. E’ sempre Dio a
risolvere la situazione e a condurre Abramo verso il suo progetto. Abramo
rivela che realmente Sara è sua sorella (figlia di suo padre). “Abramo e Sara non sono migliori degli altri esseri umani,
ma sono gli esseri umani che Dio ha scelto” (p.89).
ISACCO
La
nascita di Isacco non ha alcuna enfasi, anzi è “raccontato, come un semplice
intervallo, sullo sfondo di un’altra storia” (quella con il re di Gerar). (p.93)
Non c’è sorpresa ne gioia o ringraziamento. Tutto è raccontato in pochi
versetti. Il Signore è l’assoluto protagonista della nascita di Isacco.
Interloquisce solo con Sara, mentre Abramo appare come silenzioso e freddo
esecutore del volere di Dio (riguardo al nome e alla circoncisione di Isacco).
E’ il figlio promesso da Dio. “Dare il nome significa assumere la paternità, la
responsabilità. E qui il nome al bambino è dato non da Abramo, ma da Dio stesso”
(p.96).
Disse
Sara (alla lettera): “Una risata mi ha fatto Dio, chiunque lo saprà riderà di
me”. E’ un ridere lieto? Un rallegrarsi? O è ironico? Ha paura di risultare
ridicola?
Perché il
nome “Isacco”? “Nella Bibbia i nomi
rivestono un ruolo speciale, in quanto indicano il destino della persona, il
suo compito” (p.99). Riderà o verrà deriso? “Nei racconti della Genesi, Isacco
è legato a episodi che non fanno sorridere nessuno. (…) Nulla della sua vita ha
a che vedere con un sorriso gioioso” (p.101).
Isacco
continua a rimanere sullo sfondo del racconto che si occupa della cacciata di
Ismaele (accusato di prendere in giro Isacco!) e Agar. Abramo è dispiaciuto “a
motivo di suo figlio”. Mostra di essersi legato a Ismaele, ma mai a Isacco (a
cui invece Sara mostra di legarsi morbosamente).
Sara
morirà in seguito alla notizia del sacrificio di Isacco (cosa che sembra
lasciare indifferente Abramo, il quale vivrà ancora a lungo e avrà una nuova
moglie e diversi figli da questa). Abramo viveva a Bersabea, mentre Sara muore
ad Ebron: non abitavano più nella stessa casa? Di Isacco si dice che abitava in
un altro luogo ancora (e che la morte della madre lo aveva lasciato nello
sconforto, mentre Abramo si limita a fare il lamento di rito e a trattare per l’acquisto
del sepolcro, inizio del possesso della terra promessa).
Lungo è
il racconto del matrimonio di Isacco con Rebecca, fatto per “procura”, su
iniziativa di Abramo che chiede al suo servo di procurargli una moglie andando
a prenderla dai propri familiari. Rebecca appare subito come la vera
protagonista, mentre Isacco compare, per pochi versetti, solo alla fine del
racconto. Perché gli si cerca moglie solo dopo la morte di Sara e quando Isacco
ha almeno 37 anni? Perché trovare una moglie per Isacco sembra al servo un’impresa
così difficile? “Perché la futura moglie doveva dimostrare di essere una donna
così forte, paziente, generosa?” (p.121)
“La scena
tipo al pozzo” (luogo dell’incontro amoroso) “rivela da una parte l’inconsistenza
di Isacco” (assente e passivo) “e dall’altra la figura di Rebecca quale perno
su cui la futura coppia dovrà fare affidamento” (p.122).
Isacco
appare ignaro di tutto. “Uscito per svagarsi”, vede arrivare i cammelli, ma non
si accorge di Rebecca. Tuttavia quando la vede la accoglie nella tenda della
madre dove si sposano e trova finalmente consolazione al lutto (“Si prese in moglie Rebecca e l’amò”: “Isacco
non sembra capace di nulla se non d’amare”).
Abramo
muore avendo lasciato tutta la sua eredità a Isacco e così fidandosi finalmente
delle promesse di Dio. Decide l’allontanamento degli altri suoi figli da
Isacco: “Sembrerebbe che la benedizione divina sia arrivata dopo il
riconoscimento di Isacco da parte di Abramo, come se Dio non avesse voluto
procedere nella storia senza l’avvallo e la compagnia dell’amico, a cui si era
promesso incondizionatamente per sempre” (p.133).
Ismaele
sembra il figlio perfetto e ha già 12 figli (“principi delle rispettive tribù”),
mentre Isacco ha una moglie sterile e deve supplicare il Signore perché gli dia
una discendenza: gli nascono due figli gemelli, Esaù e Giacobbe, che sembrano
due uomini qualunque.
Solo nel
cap.26 Isacco appare come protagonista, altrimenti posto come semplice anello
di congiunzione tra il suo grande padre e il suo celebre figlio. In questo
capitolo Isacco sembra ripercorrere le orme del padre, ma in una versione
passiva, in cui non ha alcun compito specifico da compiere. E’ inoltre vittima
del raggiro (“circonvenzione”) da parte di Rebecca e Giacobbe per ottenere la
benedizione che spetterebbe a Esaù, primogenito. Isacco appare come fedele e
ignaro esecutore passivo dei piani di sua moglie.
Inconsistente
su un piano di potere umano, Isacco è tuttavia un personaggio capace di
relazionarsi con gli altri e di tirare fuori il meglio da loro. Tale
inconsistenza stride con il fatto che “In lui come in nessun altro Dio ja messo
in gioco la sua stessa autorità e credibilità: è stato promesso, prima ancora
di essere desiderato; riconfermato, nonostante le risate scettiche del padre e
della madre; e ancora riconfermato, nonostante Abramo si fosse già compiaciuto
di Ismaele. Dio si è pienamente coinvolto in questa nascita, scegliendo il suo
nome e decidendo la sua circoncisione; nondimeno resta una figura dalla
personalità molto, molto esile” (p.151).
Non
potrebbe essere che Isacco avesse una qualche forma di disabilità mentale?
Magari fosse nato down? Possibile che tutti abbiano un posto nella Bibbia
tranne che i diversamente abili dell’umanità? Tanti disabili fisici sono
presenti nella Scrittura, ma sono assenti i disabili mentali (nonostante siano
nel mondo almeno il 3% della popolazione complessiva).
Isacco è
nato da genitori molto anziani, fratelli da parte di padre. Il suo nome, “colui
che ride”, la mancanza di parole e di sentimenti di Abramo alla sua nascita, le
parole di Sara (“Dio ha riso di me”) e il “ridere” di Ismaele che provoca la
rabbia feroce di Sara così come la sua preoccupazione per la successione
ereditaria, sembrano segnali forti a favore di questa ipotesi.
GEN.22:
UN’ALTRA STORIA
“Nell’arco
narrativo che si distende da Gen.11 a Gen.28, l’obbedienza di Abramo è sempre
apparsa per lo meno incerta e fragile, tanto che ciò che sembra emergere non è
la fede del patriarca quanto la fedeltà di Dio alle proprie promesse”
(p.167-168).
Il
racconto è una dichiarazione esplicita del rifiuto di Dio dei sacrifici umani?
Ma perché allora a richiederlo è Dio stesso?
Vuole
mostrare “l’infinita alterità di Dio rispetto all’essere umano e l’impossibilità
dell’uomo di comprendere i progetti di Dio”? (p.181) Ma ancora una volta: perché
richiedere il sacrificio?
Si è
voluto raccontare simbolicamente il taglio del cordone ombelicale tra padre e
figlio? La realizzazione dell’indipendenza e dell’identità autonoma del figlio?
Allora perché questo legame risulta assente nel loro rapporto?
Abramo ha
frainteso il comando? Si è trattato solo di uno spaventoso equivoco?
Esegesi
-
“Dopo queste
cose”: quali? Non potrebbe riferirsi al fatto di aver avuto un figlio
disabile e alla fatica di accoglierlo?
-
“Dio mise alla
prova Abramo”: si tratta di una “finta”? Di un esperimento divino teso a
verificare l’obbedienza di Abramo, messo davanti alla scelta tra la vita del
figlio Isacco e la sottomissione a Dio? Il testo originale fa anche pensare a
un possibile riferimento a ciò che è avvenuto prima, più che a ciò che avverrà
(“Dio aveva messo alla prova”): “Il drammatico conflitto interiore che Abrama
sta vivendo davanti alla disabilità del figlio promesso, richiamato dall’inizio
del racconto, potrebbe essere la prova, la situazione difficile che si ritrova
a vivere” (p.189).
-
“E gli disse:
Abramo. Rispose: Eccomi!”: è la prima volta che Dio chiama Abramo per nome,
quasi a ricordargli il compito affidato nel nome stesso che significa “padre
grande”, a ricordargli che è padre.
-
“Riprese: Prendi”.
Quel “prendi” può avere il significato di “ricevi/accogli”.
-
“tuo figlio, il
tuo unigenito che ami, Isacco”: Dio sembra voler focalizzare lo sguardo di
Abramo su suo figlio, ricordargli che è suo figlio e che va amato. “Isacco non
è né l’unigenito, né l’unico figlio di Abramo; e nei testi della Genesi non si
parla mai di amore tra i due” (p.194).
-
“Va’ nel
territorio di Moria”: “dopo la richiesta di abbandonare il passato, quella
di sacrificare il futuro (…) (per abbandonare) una condizione di morte e
iniziare un percorso di vita e di benedizione” (p.195).
-
“e offrilo in
olocausto su un monte che io ti indicherò”. Offrire può essere tradotto con
salire (in pellegrinaggio) per fare un olocausto. “In questo senso, dopo aver
chiesto ad Abramo di accettare Isacco come figlio e di amarlo, Dio lo
inviterebbe a introdurlo nel rapporto con Lui” (p.197).
Troviamo nella Bibbia
condanne esplicite dei sacrifici umani (“cosa che io non avevo mai comandato né
pensato” Ger 7,31) così come del fatto che Dio non tenta nessuno (Giac. 1,13).
Anche “Non mi hai rifiutato tuo figlio” può essere lecitamente tradotto
con “Non hai rifiutato il tuo figlio (quello avuto) da me”.
“Sul monte “il Signore vede”, ma anche Abramo vede un ariete; come
Agar, vista dal Signore, vede un pozzo d’acqua. Quando il Signore vede, il
destino di morte si trasforma in una possibilità di vita” (p.205).
“Abramo tornò dai suoi servi (…) e abitò a Bersabea”: è la
conclusione del racconto. Senza enfasi, senza gioia, in solitudine. “Non sembra
il vincitore di un terribile duello con Dio, né colui che ha riportato a casa
vivo un figlio destinato alla morte” (p.207).
Dio chiede ad Abramo di
accettare Isacco come figlio, “di amarlo e di credere in lui. Ma Abramo, solo
alla fine della sua vita, scegliendo proprio Isacco come suo erede, accoglierà
questo figlio” (p.213).