Il regno dei cieli è come... XVII domenica del T.O.

«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo;
un uomo lo trova e lo nasconde,
poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante
che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore,
va, vende tutti i suoi averi e la compra». (Mt 13,44-46)

Queste due brevi parabole sono un regalo speciale di Matteo. Gli altri evangelisti non ne parlano. Sono due racconti pieni di sorpresa, pervasi da stupore, sconvolgenti, nel senso che scombinano due vite e le portano a riformularsi totalmente. Sono due parabole gemelle, costruite in parallelo. Nel loro accostamento balzano all'occhio due aspetti evidenti:
A leggerle d'un fiato, l'accento cade per entrambe sull'ultima espressione: «Va, vende tutti i suoi averi e compra...». Il «vendere tutto» sembra dunque essere l'obiettivo della parabola, la sua «morale». La catechesi e le omelie hanno buon gioco a far leva su questa constatazione. Per il Signore, si dice, bisogna lasciare tutto; la fede cristiana esige la radicalità della risposta; Dio deve essere sempre al primo posto ecc. L'interpretazione morale delle parabole è legittima e non c'è da dubitare che fosse anche nelle intenzioni dell’evangelista. Ma la seconda parte (la reazione dei personaggi) poggia tutta sulla prima (la scoperta di un bene prezioso e inaspettato). Il perno delle parabole è l'immagine del tesoro e della perla. È questa scoperta che porta i protagonisti a una totale disappropriazione per una nuova riappropriazione.
La seconda cosa da notare è che la sola differenza fra le due è su questo punto: uno non cerca, e si imbatte nel tesoro; l'altro cerca, e si imbatte in una perla superiore a ogni sua attesa. Matteo sembra mettere in scena le due possibilità rispetto alla fede: quella di chi cerca e quella di chi non cerca affatto. Il regno di Dio raggiunge entrambe le situazioni. Non è la ricerca, quindi, la condizione della scoperta. Questa è sempre dovuta «a un colpo di fortuna» o di grazia.
Queste due osservazioni ci permettono di pensare il secondo annuncio evitando due rischi e prendendo una direzione molto concreta.
Il primo rischio è la riduzione del vangelo a una morale. È il peggior servizio che possiamo fare alla fede cristiana. La «buona notizia» diventa così l’invito a un «buon comportamento». Il secondo annuncio ha a che fare con questo problema: molti cristiani infatti vivono la fede come una limitazione, riducendola a un peso da portare. La fede diventa allora prevalentemente una rinuncia alla propria pienezza di vita. Dietro si installa un'immagine di un Dio esigente, geloso della nostra felicità, un Dio che ci tarpa le ali e che ci vuole un po' meno felici degli altri. Questa sensazione è molto diffusa e toglie ogni gioia alla fede. Il motivo? Semplice: delle due parabolette è rimasta solo la seconda parte, quella dell'impegno. Si è persa la sorpresa della scoperta, la percezione della grande fortuna avuta. Il tesoro ha perso il suo valore e la perla la sua brillantezza. Il secondo annuncio recupera la sorpresa del dono per rimotivare la radicalità della risposta. Mette in contatto con la gratuità e con l'eccedenza della grazia per rendere gioioso il proprio impegno.
Il secondo rischio riguarda uno dei ritornelli dei nostri ambienti ecclesiali: se questi ragazzi (o giovani, o adulti) non cercano niente, se non sono interessati, se sono superficiali... non c'è niente da fare. Invece Matteo ci fa capire una cosa fondamentale: che la grazia di Dio precede ogni ricerca. Propriamente parlando, la fede cristiana non è né dell'ordine della risposta a domande che spesso la gente non si pone, né dell'ordine della ricerca basata sulle domande che le persone avrebbero dentro di sé o che si tratterebbe di suscitare, ma di quello della sorpresaHa un carattere di eccedenza, un «di più» gratis che coglie di sorpresa sia chi cerca, sia chi non cerca. Il regno di Dio è per tutti, che si cerchi o che non si cerchi, e per tutti è sempre un dono.
Evitati i due rischi, va presa la direzione concreta giusta. La scoperta del tesoro e della perla, il dono sproporzionato e non condizionato di Dio, avviene dentro la vita quotidiana, in questo caso il lavoro: uno è un contadino, l'altro è un mercante. È come dire che il vangelo viene incontro all'uomo nella concretezza della sua vita e della sua storia, nelle nostre vicende umane e nelle pieghe della nostra esistenza. Il secondo annuncio mostra la sua pertinenza se diventa annuncio buono per la vita.


Papa Francesco:
13,44-52 Cercare e trovare [1]

Tra le parabole del Regno di Dio (Mt 13,44-52) ci sono due piccoli capolavori: le parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla di grande valore. Esse ci dicono che la scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata. Ma in un caso e nell’altro resta il dato primario che il tesoro e la perla valgono più di tutti gli altri beni, e pertanto il contadino e il mercante, quando li trovano, rinunciano a tutto il resto per poterli acquistare. Non hanno bisogno di fare ragionamenti, o di pensarci, di riflettere: si accorgono subito del valore incomparabile di ciò che hanno trovato, e sono disposti a perdere tutto pur di averlo.

Gesù, il tesoro e la perla
Così è per il Regno di Dio: chi lo trova non ha dubbi, sente che è quello che cercava, che attendeva e che risponde alle sue aspirazioni più autentiche. Ed è veramente così: chi conosce Gesù, chi lo incontra personalmente, rimane affascinato, attratto da tanta bontà, tanta verità, tanta bellezza, e tutto in una grande umiltà e semplicità. Cercare Gesù, incontrare Gesù: questo è il grande tesoro!
Quante persone, quanti santi e sante, leggendo con cuore aperto il Vangelo, sono stati talmente colpiti da Gesù, da convertirsi a lui. Pensiamo a san Francesco di Assisi: lui era già un cristiano, ma un cristiano “all’acqua di rose”. Quando lesse il Vangelo, in un momento decisivo della sua giovinezza, incontrò Gesù e scoprì il Regno di Dio, e allora tutti i suoi sogni di gloria terrena svanirono. Il Vangelo ti fa conoscere Gesù vero, ti fa conoscere Gesù vivo; ti parla al cuore e ti cambia la vita. E allora sì, lasci tutto. Puoi cambiare effettivamente tipo di vita, oppure continuare a fare quello che facevi prima ma tu sei un altro, sei rinato: hai trovato ciò che dà senso, ciò che dà sapore, che dà luce a tutto, anche alle fatiche, anche alle sofferenze e anche alla morte.

Nel vangelo si trova Gesù
Leggere il Vangelo. Leggere il Vangelo. Ne abbiamo parlato, ricordate? Ogni giorno leggere un passo del Vangelo; e anche portare un piccolo Vangelo con noi, nella tasca, nella borsa, comunque a portata di mano. E lì, leggendo un passo, troveremo Gesù. Tutto acquista senso quando lì, nel Vangelo, trovi questo tesoro, che Gesù chiama “il Regno di Dio”, cioè Dio che regna nella tua vita, nella nostra vita; Dio che è amore, pace e gioia in ogni uomo e in tutti gli uomini. Questo è ciò che Dio vuole, è ciò per cui Gesù ha donato sé stesso fino a morire su una croce, per liberarci dal potere delle tenebre e trasferirci nel regno della vita, della bellezza, della bontà, della gioia. Leggere il Vangelo è trovare Gesù e avere questa gioia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo.
Cari fratelli e sorelle, la gioia di avere trovato il tesoro del Regno di Dio traspare, si vede. Il cristiano non può tenere nascosta la sua fede, perché traspare in ogni parola, in ogni gesto, anche in quelli più semplici e quotidiani: traspare l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù. Preghiamo, per intercessione della Vergine Maria, perché venga in noi e nel mondo intero il suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

13,44 La vocazione: tesoro nascosto nel campo [2]

Mi piace paragonare la vocazione al ministero ordinato al “tesoro nascosto in un campo” (cf. Mt 13,44). È davvero un tesoro che Dio mette da sempre nel cuore di alcuni uomini, da lui scelti e chiamati a seguirlo in questo speciale stato di vita. Questo tesoro, che richiede di essere scoperto e portato alla luce, non è fatto per “arricchire” solo qualcuno. Chi è chiamato al ministero non è “padrone” della sua vocazione, ma amministratore di un dono che Dio gli ha affidato per il bene di tutto il popolo, anzi di tutti gli uomini, anche di coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la fede in Cristo. Al tempo stesso, tutta la comunità cristiana è custode del tesoro di queste vocazioni, destinate al suo servizio, e deve avvertire sempre più il compito di promuoverle, accoglierle ed accompagnarle con affetto.

13,52 Saper sintetizzare il nuovo e il vecchio [3]

Nelle parabole evangeliche, i padri di famiglia sono caratterizzati in questo modo: coloro che sanno sintetizzare il nuovo e il vecchio (Mt 13,52); un’altra immagine del padre è quella di colui che non esi­ta a sacrificare il suo stesso figlio - ricordate la parabola dei vignaioli? (Mt 21,33-42) - perché l’eredità inalienabile, quasi come l’olio delle dieci vergini, sia feconda e dia molto pane al popolo che la rispetti e non la pretenda per sé. Un altro padre è quello che non smette mai di vedere nel germoglio di grano, pur indebolito dalla troppa zizzania, la speranza della crescita (Mt 13,24-30), e per questo lo aspetta in stra­da, come racconta Luca nella sua parabola sulla misericordia, perché sa che Dio è Padre anche di coloro che arrivano all’undicesima ora (Mt 20,1-16).

13,55 La famiglia di Gesù: tesoro nascosto nel “campo” (AL 182)

Nessuna famiglia può essere feconda se si concepisce come troppo differente o “separata”. Per evitare questo rischio, ricordiamo che la fa­miglia di Gesù, piena di grazia e di saggezza, non era vista come una famiglia “strana”, come una casa estranea e distante dal popolo. Proprio per tale ragione la gente faceva fatica a riconoscere la sapienza di Gesù e diceva: “Da dove gli vengono queste cose? [...] Non è costui il falegname, il figlio di Maria?” (Mc 6,2-3). “Non è costui il fi­glio del falegname?” (Mt 13,55). Questo confer­ma che era una famiglia semplice, vicina a tutti, inserita in maniera normale nel popolo. Neppure Gesù crebbe in una relazione chiusa ed esclusiva con Maria e Giuseppe, ma si muoveva con piace­re nella famiglia allargata in cui c’erano parenti e amici. Questo spiega che, quando tornavano da Gerusalemme, i suoi genitori accettassero che il bambino di dodici anni si perdesse nella carovana per un giorno intero, ascoltando i racconti e con­dividendo le preoccupazioni di tutti: “Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giorna­ta di viaggio” (Lc 2,44). Invece a volte succede che certe famiglie cristiane, per il linguaggio che usano, per il modo di dire le cose, per lo stile del loro tratto, per la ripetizione continua di due o tre temi, sono viste come lontane, come separate dalla società, persino i loro stessi parenti si sento­no disprezzati o giudicati da esse.

NOTE
[1] Angelus, 27 luglio 2014.
[2] Discorso alla plenaria della Congregazione del Clero, 3 ottobre 2014.
[3] Discorso di apertura alla Congregazione Provinciale (8 febbraio 1978), in Papa Francesco - J. M. Bergoglio, Pastorale sociale, Jaca Book - Comunità Sant’Egidio, Milano 2015, 251-262.

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