Da
La Repubblica, 27 luglio 2017, di Lorenzo Fazzini, un lungo articolo sulla fede espressa nella letteratura contemporanea, a dimostrare che Dio - anche nei romanzi (stranieri!) - non è morto:
Almeno in pagina, Dio non è morto. O almeno, resiste qualcosa che gli assomiglia. Qualche anno fa, sulla rivista "Vita e pensiero", Ferruccio Parazzoli, scrittore prolifico ed editor autorevole, aveva definito quella di casa nostra "narrativa dimezzata", denunciando che per lo più romanzieri e scrittori di classifica non sentono «il richiamo dell'altra dimensione, quella oltre la parete invisibile», cioè un anelito alla ricerca religiosa. E invece. Invece oggi sono numerose le tracce di domande (e anche risposte) religiose che parecchi autori in voga, per lo più stranieri, seminano nei loro libri. E pure la teologia cattolica inizia a fare i conti con il fenomeno. Pierangelo Sequeri, tra i più ferrati teologi italiani, ha curato di recente un volume, Parole e Parola. Letteratura e teologia (Glossa), che raccoglie diversi contenuti sul tema. In sintesi: anche dalle parti del pensiero ecclesiastico, ribadito che la scienza non può arrivare a spiegare l'umano in tutta la sua complessità, si crede sia meglio affidarsi all'intuizione della narrativa. «Poeticamente abita l'uomo », afferma Sequeri, citando Heidegger che riecheggiava Hölderlin, « poeticamente lo visita Dio». Meglio rivolgersi ai romanzieri e scrittrici di oggi per capire l'uomo, dunque. Tanto più che l'allora padre Jorge Mario Bergoglio chiamava un certo Jorge Luis Borges a dialogare con i suoi studenti, mentre per la teologia (se non è «fatta in ginocchio ») l'attuale papa prova una certa freddezza. Se non, guarda caso, con pensatori che amavano moltissimo la letteratura: due nomi su tutti, Romano Guardini e Michel de Certeau.
Da Marilynne Robinson, scrittrice amatissima da Barack Obama, al fenomeno Annie Ernaux in Francia, per non parlare di Cormac McCarthy, Wendell Berry e Svetlana Aleksievic. O ancora Colum McCann, con il suo inquieto Questo bacio vada al mondo intero (Rizzoli), Eric Emmanuel Schmitt, autore del pregevole Il Vangelo secondo Pilato (San Paolo), Lance Weller e il suo recente romanzo epico Wilderness (edito da Keller, che l'ha appena avuto ospite nel Nordest): qui il protagonista si chiama Abel (e in vari aspetti riecheggia il personaggio di Genesi) e s'immola per salvare degli innocenti. Val la pena anche di ricordare Robert Schneider, affermatosi con Le voci del mondo (Einaudi), firma di due romanzi per Neri Pozza ( Kristus e L'Apocalisse) i cui titoli mostrano una chiara ispirazione biblica.
Sono vari i nomi di quanti e quante oggi, nello scrivere storie e nel dar forma a personaggi, non eludono lo spazio del sacro. Inteso come il sociologo Peter Berger l'ha definito nel suo I molti altari della modernità: «La convinzione che vi sia una realtà al di là della realtà dell'esperienza ordinaria, e che questa realtà sia di grande importanza per la vita umana».
E così ecco che da questa e dall'altra parte dell'Oceano — per stare sulla narrativa occidentale — è possibile rinvenire tracce di cristianesimo che, in maniera spesso conscia, talvolta in modo carsico, intessono romanzi di successo.
Svetlana Aleksievic ne è un esempio: premio Nobel per la letteratura, la giornalista- scrittrice bielorussa non ha remore, nei suoi romanzi-reportage, a porre sotto la propria lente d'ingrandimento (come ammise in un'intervista di qualche tempo fa) il fatto che «Dio è necessario. Se noi non siamo sovrani — e non lo siamo — abbiamo bisogno di qualcuno sopra, cui rivolgere i nostri pensieri, cui chiedere aiuto, con cui lamentarsi». E in effetti, per esempio, in Preghiera per Chernobyl (e/o) la Aleksievic intesse quel dramma con l'interrogativo angosciato: dov'era Dio in quei frangenti? La pura resistenza di tante anime buone dentro quel tragico sconvolgimento della storia offre alla Aleksievic una risposta quasi dostoevskiana all'enigma del Male.
In Cormac McCarthy il mistero della malvagità dell'uomo è centrale. E sembrerebbe quasi non lasciare spazio ad un afflato religioso che invece il compianto critico di Civiltà Cattolica, padre Ferdinando Castelli, rendeva esplicita nella sua esegesi de La strada, il capolavoro di McCarthy, reso celebre anche dalla trasposizione cinematografica. Parlando dei due protagonisti di questo apocalittico romanzo — un padre e un figlio sopravvissuti in un mondo dopo la fine del mondo — McCarthy, scriveva Castelli, fa sì che «lungo tutto il romanzo il bambino [protagonista, ndr] rappresenti la benevolenza, la comprensione, la condivisione. Cioè l'amore». In sostanza, la sintesi della fede cristiana, che professa Dio come amore. Anche in Cavalli selvaggi (edito da Einaudi, come tutti i suoi romanzi), McCarthy, che qualcuno ha definito « un teologo negativo » , lascia spazio a sprazzi di lucida comunicazione spirituale. Come quando due personaggi dialogano sull'Eterno: «Secondo te Dio tiene d'occhio la gente? disse Rawlins. Sì. Penso di sì. Tu? Sì. Visto come va il mondo lo penso anch'io. […] Secondo me Lui ci sta attento. Altrimenti non saremmo in grado di sopravvivere un giorno». Definizione di Dio che piacerebbe molto a papa Francesco, il quale durante il primo Angelus da pontefice ricordava l'insegnamento ricevuto da una vecchietta di Buenos Aires («che non aveva studiato all'Università Gregoriana » precisò): «Senza la misericordia di Dio, il mondo non esisterebbe » . Professione di fede che McCarthy echeggia in Città della pianura: «Un Dio incapace di perdonare non sarebbe nemmeno stato Dio».
Anche un'autrice che ha esplicitamente abbandonato il cattolicesimo come Annie Ernaux, protagonista allo scorso Salone del Libro di Torino, non evade l'interrogativo con la tradizione biblica. In un'intervista ha confidato: « Io non credo più a nessuna forma di religione». Ma al contempo ha ammesso che Il posto (edito da L'orma) «è un'opera che deve molto alla figura di Cristo, inteso come sacrificio, come percorso di conoscenza, come simbolo degli uomini».
Qualcosa di simile vale anche per Marilynne Robinson, l'autrice di cui Einaudi ha da poco mandato in libreria Le cure domestiche. Vera e propria star negli Stati Uniti — tanto che la New York Review of Books chiese a Obama di farle un'intervista — , la Robinson ha dichiarato di voler «riportare Dio al centro dei romanzi». E nella sua saga che ruota intorno a Gilead, cittadina dell'Iowa, trovano narrativamente risposta quelle domande che la Robinson ha provato a porre — cos'è il genere umano? Chi è Dio? Che relazione vi è tra i due? — in una raccolta di saggi, The Givenness of Things, che minimum fax tradurrà a breve.
Dal suo Kentucky, invece, Wendell Berry tratteggia una religiosità naturale che interseca lo stupore dell'uomo di fronte al Creato con il senso di comunità che la dimensione religiosa dell'esistenza racchiude in sé. Questo poeta- pacifista- narratore-agricoltore, autore di una quarantina di libri, vincitore di oltre 20 premi letterari, al quale Obama assegnò la prestigiosa National Humanities Medal, intesse i suoi romanzi (ambienti nella località rurale di Port William) con riferimenti biblici, domande di fede, annotazioni sulla spiritualità che sono un rimando alla natura religiosa dell'autore.
Berry, a dispetto dei suoi racconti di ambiente agreste, non è però un tradizionalista né tanto meno un conservatore: concepisce la fede come una forza di progresso, una domanda continua, un incessante procedere verso l'oltre. Come afferma uno dei personaggi del suo Jayber Crow (Lindau): «La fede non è per forza, o non immediatamente, un luogo riposante. La fede ti deposita su un grande fiume in una piccola barca, nella nebbia e nel buio».
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