Un ponte che non porta alla Verità?
Credo che l’invito di James Martin al World Meeting of Families di Dublino sia un grave torto che viene fatto alle persone con tendenza omosessuale che cercano Dio (la seconda parte della frase del Papa sempre omessa nelle citazioni), le quali già hanno la loro grande parte di fatica, e hanno bisogno di tutto tranne che di confusione. A coloro che cercano Dio provando attrazione verso lo stesso sesso non servono attivisti, persone che accusano la Chiesa e che li incoraggiano a restare dove stanno senza fare un cammino, senza individuare una meta né una direzione certa.James Martin infatti è un militante omosessualista che non parla di castità (non vorrei sbagliarmi, ma nel suo libro non mi è parso di vederla neppure citata di striscio), ascesi, preghiera, mentre invece parla molto, direi esclusivamente di cattiveria della Chiesa. Ora, se certo alcuni uomini di Chiesa potranno anche aver bisogno di imparare a guardare al tema diversamente, la causa della sofferenza delle persone con attrazione verso lo stesso sesso non è certo da cercare lì, come invece il saggio di Martin ribadisce a ogni pagina.A chi ha davvero a cuore la vera, profonda felicità delle persone che cercano Dio, qualunque inclinazione abbiano, non serve la propaganda dei militanti, serve la verità detta con un amore che si chini davvero sulle loro ferite, per curarle, non per rivendicare qualcosa dando la colpa alla cattiveria altrui. Serve un amore personale, perché l’amore, come Dio, conta solo fino a uno, e non può mai essere una questione di categorie. Le persone omosessuali che conosco sono addolorate dalla presenza di Martin a Dublino, perché la Chiesa è – era? – l’unica voce che dice loro la verità con amore, e vedere che vengono promosse certe letture ideologiche e militanti della loro condizione li fa sentire lasciati soli. Già il mondo legge la loro condizione di sofferenza invitandoli solo a rivendicare la libertà, se anche la Chiesa si mette a dire le stesse cose, chi li aiuterà? Se il sale perde sapore, a che serve? Se al Forum l’unico a parlare del tema sarà uno che critica apertamente e continuamente il Catechismo, proprio come un qualunque redattore di Vanity Fair, cosa devono pensare?Spero che chi ha fatto pressioni per questa presenza a Dublino si ravveda, o che chi è sopra di lui fermi questa operazione che fa torto e addolora i più fragili. E addolora anche i tanti cattolici che stanno al loro fianco, e le famiglie.Riepiloghiamo i fatti: James Martin è un gesuita autore di best sellers americani e molto attivo nella comunicazione, ospitato volentieri soprattutto da testate ed emittenti ostili alla Chiesa (New York Times, CNN), da tutto quel mondo che contesta la visione dell’uomo che la Chiesa nel suo grande amore all’uomo propone. È un militante “lgbt”. Uso questo acronimo, secondo me offensivo, perché lui invece ci tiene molto, tanto da scrivere un libro proprio per difendere e diffondere questa espressione. L’idea che sta al fondo del libro è prima di tutto lottare perché questa espressione sia accettata dalla Chiesa. Il fatto è che la Chiesa invece, da buona madre, si rifiuta invece di definire i propri figli in base all’orientamento sessuale. E’ come se io etichettassi i miei figli in base a un singolo loro disordine: il pigro, l’ansiosa, la capricciosa e il superficiale. Io so che i miei figli hanno anche queste inclinazioni, ma so che loro sono molto, molto di più, sono persone, e cerco di guardarli sempre con occhi di madre, cioè nella certezza – va be’, a volte è solo una speranza – che lavorino sul loro carattere, che maturino e soprattutto che incontrino Dio per la loro particolare, unica strada. Strada che, ne sono certa, passerà anche dalla loro ferita, dalla loro fatica nel combattere il disordine. Tutti ne abbiamo qualcuno, si chiama peccato originale, ed è vero che Martin – mi spiace ma non riesco a chiamarlo padre – ha detto che il Catechismo della Chiesa cattolica può indurre al suicidio (può uno così parlare a nome della Chiesa?), ma a me invece il pensiero della redenzione di Cristo che salva dal peccato mette al contrario tanta voglia di vivere, mi solleva dal peso della mia fragilità.Martin, che è anche consultore della Segreteria per la comunicazione, comincia il suo libro con una specie di bugia elegante e sottile, ma pur sempre una bugia, e se questo non è proprio estraneo a chi lavora nella comunicazione, dovrebbe esserlo per un sacerdote. Comincia dicendo che ha deciso di scrivere il suo libro perché dopo la strage del 2016 nel locale di Orlando frequentato da persone omosessuali la Chiesa espresse solidarietà, sì, ma non usò la parola “lgbt”. Da come scrive il gesuita, invocando solidarietà per la comunità “lgbt” lascia intendere che la strage fosse motivata da una fantomatica omofobia. Invece poi si scoprì che l’autore voleva vendicarsi dei suoi amanti perché temeva di avere contratto l’HIV da uno di loro (altro dato taciuto: il virus è diffuso soprattutto tra gli omosessuali). Quindi uno che gli omosessuali li “amava”, e non li odiava di certo. Avrei qualcosa da dire invece sull’uso della parola di comunità: non credo che persone che frequentano un locale notturno possano solo per questo essere definite comunità, come non userei il termine per i frequentatori di locali per incontri intimi. La comunità è molto di più che bere insieme e organizzare incontri sessuali tra estranei.Indipendentemente da questo, la Chiesa esprime solidarietà verso le persone, non verso le sigle, e non è che possa fare solenni messaggi di cordoglio tutti i giorni, visto che 215 milioni di cristiani sono perseguitati ogni anno, e 9 uccisi OGNI GIORNO (una strage di Orlando a settimana, e in questo caso non per contagi di virus, ma per il nome di Cristo). Invece, parlando della strage, Martin afferma che “è la Chiesa istituzionale che ha fatto in modo che i cattolici LGBT si sentissero marginalizzati”, lasciando intendere in un colpo solo che: a) le persone con attrazione verso lo stesso sesso non sono felici, non per il loro disordine ma a causa dello stigma sociale b) di questo è responsabile la Chiesa c) in fondo in fondo se in questo clima di odio poi qualcuno spara alla fin fine un po’ è colpa anche della Chiesa (non importa se il killer amasse gli omosessuali, la colpa è comunque sempre dei cattolici rigidi).La soluzione per Martin? Cambiare la Chiesa, la dottrina, il Catechismo. Per questo trovo gravissimo che il gesuita, grazie ai suoi buoni uffici nella gerarchia, sia stato invitato al World Meeting of Families a Dublino in agosto (personalmente questa scelta mi ha tolto dagli impacci della decisione: io non andrò): credo sia un torto verso le persone che cercano Dio, e lo cercano nella loro fragilità non negata ma anzi via privilegiata per l’incontro con il Signore.Proviamo a rispiegare la cosa dalle basi. Secondo Martin la dottrina della Chiesa è “inutilmente offensiva” (testuale!), e io mi chiedo perché mai uno decida di diventare sacerdote di una Chiesa cui non aderisce. Poteva farsi protestante, lì la posizione è ben diversa. Ma leggiamo le parole della Chiesa per intero, mentre il gesuita slealmente cita solo l’aggettivo, disordinata. Il Catechismo è invece di una delicatezza estrema: “questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita… sono chiamate alla castità…e alla perfezione cristiana”. Altro che discriminazione, la Chiesa chiama le persone con attrazione verso lo stesso sesso alla perfezione, come ognuno di noi, ognuno non a dispetto ma proprio a partire dalla propria fragilità.Ma per capire la differenza tra accompagnare verso una meta e accompagnare a zonzo, proviamo a sostituire all’omosessualità, tema su cui ormai la propaganda ci ha fatto il lavaggio del cervello da ogni palco testata canale schermo pagina, il problema del rapporto con i soldi e dell’avidità, che è forse un tema su cui la sensibilità contemporanea è, in teoria, concorde (cioè almeno a parole la condannano tutti). Esempio. C’è una persona che tende ad accumulare denaro. Il peccato per la Chiesa non è che desideri il denaro – i sentimenti non assecondati non sono peccato – ma che obbedisca attivamente a questo desiderio nella pratica, e quindi non scucia il becco di un quattrino. Anche se gli passa vicino uno che sta morendo di fame lui non ce la fa proprio, non gli dà una briciola di pane. La Chiesa dovrebbe andare dal ricco, fargli pat pat sulla spalla? Dirgli non ti preoccupare, non è colpa tua se sei avaro? Continua così a non dare nulla, se è così che ti senti? Dovrebbe dire, a dar retta a Martin, “poverino, come sono cattivi gli altri! Ti dicono che sei avaro? Ma questa è avarofobia! Sei discriminato! Se tu proprio senti questo desiderio non ci puoi fare niente, non lo devi combattere! Anzi, costruiamo un ponte fra te e gli avarofobi, in modo che tu possa continuare a fare una cosa che fa male a te, alla tua anima, alla tua vita e anche al prossimo, e che non ti senta discriminato”?Forse così è più chiaro perché non si può accompagnare uno affinché rimanga nella sua ferita – ogni disordine è una malattia spirituale, non una colpa, mentre è una colpa l’adesione consapevole e volontaria con le azioni – , ma va accompagnato affinché la superi. Come mi ha detto Daniel Mattson quando è venuto a cena a casa mia (Dan, ti aspetto per rifarti le patate con salvia e coriandolo!), il punto non può essere solo ed esclusivamente l’accompagnamento: uno può essere accompagnato anche sul ciglio di un burrone. Quindi non basta accompagnare, occorre farlo verso una meta.Nel suo libretto – non è dispregiativo, sono meno di 80 pagine, diverse delle quali di citazioni bibliche, da cui è espunta le Genesi, fondamento dell’antropologia cristiana, con il suo “maschio e femmina, a sua immagine” – Martin sostiene che la Chiesa “insulta, calunnia e persino licenzia” le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Io pensavo che i Gesuiti fossero l’élite intellettuale della Chiesa, per cui ero armata di pazienza e matita, credendo di dover rileggere tre volte. Invece la pochezza delle argomentazioni mi ha permesso di percorrerlo velocemente: una rassegna piuttosto semplice dell’armamentario vittimista. Credo che a renderlo oggetto di curiosità sia stata solo l’identità dell’autore (un prete che parla contro il Catechismo è sempre una goduria per il mondo).Al contrario io conosco tante persone che si sentono accolte e ascoltate solo dalla Chiesa, e conosco l’apostolato generoso di Courage, conosco sacerdoti che passano la vita in confessionale ad abbracciare e accogliere senza giudicare. Oppure forse si riferiva al Papa, che ha detto che se c’è il sospetto che una persona ha un’inclinazione omosessuale non può entrare in seminario? Vorrà contraddire persino il Papa? Vogliamo dimenticare che molto spesso (nell’80% dei casi) i casi di pedofilia sono casi di omosessualità, cioè l’oggetto degli abusi sono giovani maschi adolescenti, non bambini?Il punto vero è che abbiamo bisogno di preti virili, di una Chiesa virile, capace di educare, mettere paletti, insegnare il senso della realtà, che è il compito di un padre. Per questo il Papa dice che chi prova attrazione verso lo stesso sesso non ci deve neanche entrare in seminario.Infine, non conosco la storia personale di Martin e non voglio giudicare lui. Non conosco la sua storia né le sue sofferenze. Ma conosco delle persone omosessuali che si aggrappano alla roccia delle parole della Chiesa, invece che accusarla. Persone che invece che parlar male dei preti (è come il nero, va su tutto) ascoltano la verità che è scritta dentro i loro cuori per cominciare un cammino verso la felicità. Davvero, loro non si meritano che Martin vada a parlare di loro a nome della Chiesa a Dublino. Voglia il cielo che ci sia un prete virile capace di impedirlo.