La Chiesa italiana al tempo del covid-19: appunti per un incontro
´ 21 febbraio 2020:
giunge la notizia dei primi italiani contagiati
´ 26 febbraio- E’ il mercoledì
delle Ceneri: in tutto il nord Italia si vietano le celebrazioni ai fedeli.
Inizia per loro una Quaresima assolutamente straordinaria. Nelle altre regioni
si celebrerà ancora, con delle precauzioni, fino alla 2° domenica di Quaresima
(8 marzo), quando si decide di estendere a tutto il paese le restrizioni
prima riservate al nord.
´ 9 marzo- Il Papa decide di
celebrare in diretta la Messa di S. Marta per tutta la durata dell’emergenza
´ 11 marzo: inizia il lockdown fino
al 18 maggio (inizio della Fase 2)
«D’improvviso
ci siamo ritrovati un laboratorio ecclesiologico straordinario»
padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte di Firenze
«L’arte della vita è saper
accettare ciò che mi accade dall’esterno e prenderlo come un’opportunità. La
croce che accetto può rompere le mie abitudini e aprirmi a nuove possibilità di
vita».
Anselm Grun, benedettino tedesco, psicologo e
scrittore
Vietate per mesi le celebrazioni, le chiese sono potute restare aperte per i pochi coraggiosi che hanno scoperto di poterci andare almeno per la preghiera personale. Molti preti (e religiosi) sono stati infettati e a centinaia sono morti. Tutte le attività pastorali sospese: ai preti non restava altro che attaccarsi al telefono per rimanere collegati con i loro fedeli e scoprire le potenzialità date da internet: Messe in diretta streaming, catechesi on-line e tante altre forme innovative di pastorale virtuale che la fede e la fantasia hanno suggerito. C’è anche chi ha iniziato a celebrare sui tetti o sui campanili; chi è montato su un furgoncino aperto e con la SS. Eucaristia o la Madonna o le reliquie del Santo locale ha iniziato a benedire le case dei loro parrocchiani.
La Chiesa
è stata accusata di atteggiamento supino, arrendevole rispetto ai diktat
governativi: dove è finito il Concordato? E la libertà di culto? Dall’altra
parte si è ribadito che si trattava di salvaguardare innanzitutto la salute e
la vita dei fedeli: il primo atto di carità è stato quello di non trasmettere
il virus, così come per il bene comune si è dovuti stare a casa, evitare ogni
contatto extra-familiare.
Le chiese si sono svuotate e le case si sono riempite. Le famiglie hanno improvvisamente trovato il tempo per convivere e condividere ogni momento della giornata: siamo passati dalla vita frenetica dove gli innumerevoli impegni e progetti raramente permettevano di ritrovarsi tutti riuniti, ad una vita dove si aveva improvvisamente tanto tempo libero e soprattutto tanto tempo da passare insieme. Noi, ma senza gli altri. Anche se gli altri sono gli stessi parenti, amici, conoscenti, parrocchiani, compagni di giochi o di tante passioni condivise. Giriamo con la mascherina, a volte con i guanti, diffidenti, impauriti, distanziati. Mancano i contatti, le strette di mano, gli abbracci. Ora ce ne accorgiamo di quanto siano importanti e di come la vita si giochi nelle relazioni. Quelle vere.
“L’uomo nella sua prosperità non comprende” dice il Salmo 49. Abbiamo vissuto, almeno in occidente, il più lungo periodo di pace e di prosperità che la storia abbia mai registrato. Ci siamo dimenticati di quanto siamo fragili e limitati: nella prosperità abbiamo dimenticato chi siamo. Ci siamo dimenticati che le epidemie sono sempre esistite e che non esiste una scienza, tantomeno una tecnica – per quanto moderna e sofisticata – capace di preservarci da un contagio.
Credo che sia questo il motivo che mi ha spinto a leggere tanti articoli, riflessioni, editoriali, omelie…in questo e su questo tempo di coronavirus. Stiamo vivendo una pagina storica tragica e importante e volevo, forse dovevo, mettere ordine alle tante parole che sono state scritte e dette in questi giorni.
Il mondo – ha scritto il vescovo Daniele Libanori - si aspetta dalla Chiesa ben altro che il pronto soccorso dell’elemosina: si aspetta delle ragioni che aiutino ad accettare e vivere con maturità quello che sta succedendo, ha urgente necessità di motivi seri per sperare, ha bisogno di qualcuno capace di aprirgli orizzonti diversi e veri, perché il telone di fondo sul quale per anni sono stati proiettati i deliri di grandezza di questa nostra età è stato improvvisamente strappato e ha svelato un buio angosciante.
Ci sono tanti mezzi per fare della Chiesa (e della catechesi) una
Chiesa aperta (e un ospedale da campo): tante nuove forme pastorali sono state sperimentate
con successo in questo periodo. Penso non solo alle celebrazioni on-line, ma a
tante catechesi, interazioni virtuali, ma anche vis-a-vis, esercizi
spirituali…per arrivare alle celebrazioni sui tetti o sui campanili, alle
processioni in solitaria in mezzo alle case e a tante forme di solidarietà
concreta.