A cinquant’anni da Humanae vitae
Da Vatican news:
Nessuna enciclica ha avuto un tempo di gestazione così ampio come l’Humanae Vitae del Beato Paolo VI: cinque anni, dal 1963 al 1968. Pochi documenti papali hanno visto, come in questo caso, tanti consulenti coinvolti nel progetto. Ma, soprattutto, dalla sua pubblicazione, il 29 luglio 1968, l’ultima enciclica di Papa Montini scatenò un ampio dibattito che in qualche modo, mezzo secolo dopo, è giunto fino a noi.
I motivi della ricerca dopo 50 anni
Sono questi i motivi che hanno spinto don Gilfredo Marengo, docente presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, a pubblicare, per i tipi della Libreria editrice vaticana, il volume “La nascita di un’Enciclica. Humanae Vitae alla luce degli Archivi Vaticani”. Una speciale deroga voluta da Papa Francesco ha reso accessibili gli archivi prima dei 70 anni previsti e permesso una ricerca storiografica che portando alla luce una documentazione inedita aiuta a ricostruire la genesi del testo.
“Molte polemiche e molti giudizi critici sull’Humanae Vitae - spiega Marengo - nacquero da congetture sulla sua composizione. Ricostruire questo percorso aiuta perciò a far cadere tanti pregiudizi che in tutti questi anni si sono accumulati intorno al testo”. (Ascolta l'intervista a don Gilfredo Marengo)
Le tensioni post-Conciliari
“La sua stesura e poi la sua ricezione - spiega l’autore - risentirono delle prime tensioni ecclesiali successive al Concilio, ai cui esiti il testo è strettamente legato”. “Non fu facile per coloro che collaborarono alla preparazione del testo farsi carico degli accenti di novità che il Vaticano II aveva introdotto. Alle spalle c’era un magistero che già con Pio XII aveva riconosciuto la liceità dei metodi naturali, però quasi come una concessione nei confronti degli sposi cristiani. Qui si trattava di fare un passo avanti ma, per la generazione che lavorò in quegli anni, il Concilio era ancora una realtà nuova come dimostra il fastidio espresso, in alcuni passaggi, da alcuni consultori rispetto ai temi conciliari”. “Allo stesso tempo in molti altri, che contestarono l’Humane Vitae, è chiaro il pregiudizio che tutto ciò che fosse stato scritto prima del Concilio non avesse più valore. Sono dinamiche che nell’Humanae vitae esplodono in maniera singolare, ma che segnano tutta la stagione dei primi decenni post-conciliari”.
Ci furono una bozza e una consultazione sinodale
L’esistenza di una bozza di enciclica approvata e poi cassata e una consultazione sinodale sui metodi di regolazione delle nascite, durante il primo Sinodo dei vescovi nell’autunno 1967, sono due dei principali fatti nuovi emersi da questa consultazione archivistica.
La ricerca permette poi un approccio più obbiettivo all’enciclica - come spiega don Marengo - laddove sfata due miti sul suo autore. “Non è vero che Paolo VI abbia lavorato in solitudine: anzi fece in modo di avere tutti i possibili suggerimenti e consultò i vescovi. Ma non è vero che fu tormentato dai dubbi, perché il suo giudizio l’aveva maturato fin dall’inizio. Papa Montini chiese sempre solo a tutti i suoi collaboratori di aiutarlo a come presentare in modo positivo il suo giudizio. E bisogna dire - conclude Marengo - che non sempre questi furono in grado di rispondere, fino in fondo, a questa sua esigenza”.
Cinquant'anni Di Humanae Vitae Di Martin Lintner
Settimana news: A cinquant’anni da Humanae vitaeIl 25 luglio 2018 ricorre il cinquantenario della pubblicazione della Humanae vitae, lettera enciclica di Papa Paolo VI sulla procreazione, che fu battezzata come «l'enciclica della pillola», ridotta così superficialmente all'aspetto del divieto dei metodi non naturali nel controllo delle nascite.A 50 anni dalla sua emanazione, questa enciclica continua a suscitare perplessità, interesse e dibattito. Lo stesso papa Francesco, nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia del 2016, invitava alla riscoperta del messaggio della Humanae vitae di Paolo VI, in quanto sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità (cf. AL 82).Il libro di Martin Lintner, Cinquant’anni di Humanae vitae. Fine di un conflitto -riscoperta di un messaggio, cerca di cogliere e di attualizzare il messaggio della HV offrendo una riflessione in tre parti.Nella prima parte vengono ripercorse le vicende storiche che hanno portato alla stesura del documento magisteriale di Paolo VI. La ricostruzione dell'A. evidenzia la disputa animatissima che imperversò sulla eventuale rielaborazione della dottrina matrimoniale della Casti connubii (1931) di Pio XII. La maggioranza della commissione di studi come anche la commissione di vescovi incaricata di esaminare la relazione finale della commissione di studi pontificia avevano raccomandato al papa di lasciare la questione dei metodi di controllo delle nascite alla coscienza dei coniugi. Il papa, invece, ha adottato il parere del gruppo minoritario.Durante la presentazione ufficiale dell'enciclica, il 29 luglio 1968, fu il papa stesso a prevedere che la sua decisione in merito alla questione del controllo della natalità non sarebbe stata accolta da tutti, sottolineando inoltre come l'enciclica facesse parte del cosiddetto «magistero autentico», e pertanto, sebbene i fedeli fossero tenuti a riservarle piena lealtà e un'approvazione interiore non soltanto esteriore, essa non rappresentasse «nessuna affermazione infallibile di carattere vincolante».Facendosi interprete degli intenti dell'enciclica, l'allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla scrisse: «Non v’e alcun dubbio che la Chiesa si opponga alla contraccezione proprio per riguardo alla dignità della persona umana, esprimendo la paura giustificata che la contraccezione provochi il pericolo di una riduzione di quell'atto profondo e interpersonale che è il matrimonio ad un piacere puramente sessuale. La contraccezione porta in sé il reale pericolo della falsità, della perdita di verità interiore della convivenza coniugale, che deriva dal fatto che il matrimonio rappresenta una vera unione di uomo e donna in quanto persone che nel loro spazio si donano e si accettano mutuamente. Questo Reciproco donarsi e accettarsi, che costituisce l'unione di due persone, deve necessariamente essere personale e deve dare espressione alle persone e garantire il loro valore, cioè la loro dignità, anche - e soprattutto - nell'atto intimo dell'unione coniugale tra uomo e donna».Sempre la prima parte del libro di Lintner – oltre al già accennato riassunto delle fasi di redazione del documento e delle accese contrapposizioni che hanno contribuito alla configurazione finale del testo – presenta un sunto dell'enciclica di Paolo VI.Se la prima parte è dedicata alla genesi della HV, la seconda parte del volume esamina la ricezione dell'enciclica di Paolo VI, cominciando dalle prime reazioni e prese di posizione delle 38 conferenze episcopali mondiali, con particolare attenzione per quella italiana, tedesca, austriaca e belga, fino alla recente Amoris laetitia. Un'attenzione particolare è dedicata alla storia della ricezione delle enciclica da parte di Giovanni Paolo II, quale fermo sostenitore ed interprete delle sue tesi, il quale nondimeno aveva anche lasciato intuire che a suo parere il testo mancasse di un fondamento biblico e antropologico.La seconda parte del volume illustra inoltre in modo dettagliato l'atteggiamento dei due sinodi dei Vescovi del 2014 e del 2015 nei confronti dell'enciclica di Paolo VI.Tornando però indietro alle prime reazioni, e nel clima del generale ossequio delle conferenze episcopale, appaiono delle divergenze non indifferenti. Così, ad esempio, Lintner evidenzia come la Conferenza Episcopale Italiana abbia dedicato un documento nel quale sottolinea il dovere del clero cattolico di «presentare senza ambiguità» il magistero pontificio mentre le Conferenze Episcopali Tedesca e Austriaca, pur sottolineando ed elogiando l'alto valore del matrimonio riaffermato da Paolo VI, abbiano sottolineato anche la possibilità di un giudizio di coscienza dei coniugi, divergente dal magistero della Chiesa ricordando che nell'enciclica non è presente un giudizio di fede infallibile.Oltre naturalmente alla parte dedicata al magistero di Giovanni Paolo II in grande conformità a quello di Paolo VI, è interessante la presentazione della ricezione del documento da parte di Joseph Ratzinger.Lo stesso papa Benedetto XVI, nel libro intervista con Peter seewald, Ultime conversazioni, ricorda in un'ottica retrospettiva la difficoltà che visse dinanzi al documento papale: «Nella mia situazione, nel contesto del pensiero teologico di allora, Humanae vitae era un testo difficile. Era chiaro che ciò che diceva era valido nella sostanza, ma il modo in cui veniva argomentato per noi allora, anche per me, non era soddisfacente. Io cercavo un approccio antropologico più ampio. E in effetti, papa Giovanni Paolo II ha poi integrato il taglio giusnaturalistico dell'enciclica con una visione personalistica».La visione di Benedetto XVI evidenzia come il problema etico non deve vertere solo «intorno al pensiero di ciò che è secondo natura, ma condurre piuttosto alla questione su come la coscienza possa entrare in funzione, dato che la questione propriamente etica è quella della responsabilità» (120).Lintner sottolinea la «nobile riservatezza» sulla questione della regolazione delle nascite di Joseph Ratzinger conservata anche come papa e afferma che il fatto che egli non abbia sollecitato questa norma etica della Humanae vitae con la stessa veemenza urgenza di Giovanni Paolo II può intendersi come causa correzione p. 121Questo silenzio, però, non va interpretato come superamento della Humanae vitae, ma come accentuazione del suo volto più bello, quello personalistico.Benedetto XVI afferma in un messaggio rivolto al congresso internazionale della Humanae vitae del 2008 che «la possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nel integrale donazione del coniugi. Se, infatti, ogni forma d'amore tende a diffondere la pienezza di cui vive, l'amore coniugale ha un modo proprio di comunicarsi due punti generale dei figli».La terza parte del volume, invece, avvia una riflessione critica sugli argomenti portati avanti da Paolo VI contro la regolazione artificiale delle nascite. L’A. riassume le tesi avanzate da Paolo VI evidenziando il loro fondamenti e dialoga con varie prospettive teologiche per guardare alla HV con occhi non solo critici ma anche capaci di cogliere gli aspetti che devono ancora proseguire la loro maturazione. Ad esempio, dialogando con Schockenhoff, l'A. si pone la problematica se è legittimo valutare uno sviluppo verso una soluzione per cui «il matrimonio come tale deve essere aperto alla generazione dei figli, non però il singolo atto coniugale» (p. 148).Questa parte conclusiva del libro piuttosto di proporsi come dogmatica, si potrebbe definire come maieutica, ovvero invitante a una riflessione approfondita e senza pregiudizi sulle sfide poste dall’enciclica di Paolo VI, sia per chi condivide la linea del papa sia per chi ha le sue perplessità.
Infine, dalla rivista diocesana "La voce e il tempo":A cinquant’anni dalla promulgazione della notissima – e contestatissima – enciclica Humanae vitae, l’ATISM (Associazione teologica italiana per lo studio della morale) ha dedicato il suo XXVII Congresso nazionale (Torino, 3-6 luglio 2018) a una riflessione sul senso del testo di Paolo VI, indagandone gli apporti teologico-morali e antropologici, i nodi problematici, le questioni aperte.Il contesto socioculturale odierno
Il contesto socioculturale in cui ci troviamo appare molto diverso da quello della fine degli anni ‘60, soprattutto nell’ambito della sessualità. Si pensi alla galassia del mondo giovanile, oggetto del prossimo Sinodo. La biografia dei giovani di oggi ‒ ha notato Franco Garelli ‒ contempla una pluralità di esperienze sessuali: il sesso è vissuto come un dato di fatto e di diritto, in un contesto sociale che lo esalta come strumento di salute psicofisica e veicolo di felicità.La sperimentazione sessuale ‒ dilatata dal prolungamento di un’adolescenza interminabile ‒ è non solo ritenuta lecita, ma è consapevolmente perseguita come modalità di crescita e apertura al mondo. L’esperienza soggettiva diventa normativa, il sentire dell’individuo e della coppia è il criterio valoriale di fondo, l’affinità emotiva conta più che la condivisione di ideali o di progetti comuni.Una tale percezione della sessualità e una tale prassi non possono essere però frettolosamente condannate, non solo perché si tratta di una condotta e di una mentalità ormai ampiamente maggioritarie ma anche perché vi si trova una ricerca di valori (reciprocità, autenticità, totalità…) che va colta e adeguatamente interpretata. Questo per favorire il passaggio ‒ sottolineato da Anna Bertani ‒ dall’emotività, che segue il principio di piacere ed è legata all’immediato, all’affetto, che implica il legame, la fatica del rapporto e quindi il tempo della crescita.Non vi è dubbio che gli scenari culturali in cui ci muoviamo sono frutto di una molteplicità di fattori. Ciò appare molto evidente nel caso della concezione della sessualità, su cui influiscono in modo decisivo sia la prospettiva delle scienze umane, sia le novità introdotte dalle biotecnologie. È a partire da questa constatazione che Carlo Casalone ha registrato una nuova idea di sessualità, non più pensata come istinto unidirezionale, ma come sistema articolato nel quale la funzione genitale, pur avendo un ruolo essenziale, non è più unica né centrale e l’atto sessuale assume molteplici significati, a volte persino contraddittori fra loro.Il solco tra sessualità e fecondità si è approfondito: nei paesi occidentali la pratica della contraccezione si è generalizzata a tal punto che il regime ordinario della sessualità è quello infecondo. La domanda ormai non è più se iniziare la contraccezione, ma se eventualmente sospenderla per qualche tempo.Per un’ermeneutica di Humanae vitae
È del tutto evidente che questo contesto diventa, piaccia o no, l’orizzonte di fondo a partire dal quale oggi, dopo cinquant’anni, interpretiamo Humanae vitae.Gilfredo Marengo, che ha potuto accedere agli archivi vaticani per uno studio sull’enciclica che apparirà nei prossimi mesi, ha riflettuto sulle ermeneutiche del magistero ecclesiale da Humanae vitae ad oggi. Il peso che il documento ha avuto dipende in gran parte dal suo percorso compositivo, che Paolo VI ha voluto porre nel solco della Gaudium et spes e che riflette soprattutto le sue preoccupazioni rispetto alla diffusione delle politiche antinataliste.La ricezione di Humanae vitae fatta dallo stesso Paolo VI evidenzia una clamorosa insistenza sul piano pastorale rispetto a quello dottrinale, mostrando che l’enciclica non è riducibile al solo aspetto normativo. Sull’enciclica montiniana, ad ogni modo, si sono riversate tutte le tensioni e i conflitti del primo postconcilio, esattamente così come oggi accade per Amoris laetitia. Interessante il modo con cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si pongono sulla scia del magistero di Paolo VI insistendo nel primo caso su una fondazione antropologica della differenza sessuale e, nel secondo, su una comprensione rigorosamente teologica dell’amore.La ricostruzione dell’itinerario che ha condotto all’enciclica e della dinamica di ricezione è quanto mai necessario per evitare di ipostatizzare, per così dire, l’Humanae vitae. Il compito della teologia morale è leggere l’enciclica nel suo specifico contesto storico e nei nodi teoretici che essa apre: il nesso fra coscienza e norma, il rapporto fra amore e generazione, il senso della generazione. È quanto ha sostenuto Maurizio Chiodi, che tra l’altro è stato oggetto, per i suoi qualificati interventi sull’enciclica, di veri e propri attacchi mediatici.La fecondità, per Humanae vitae, è elemento costitutivo dell’amore: il legame tra amore e generazione è un’evidenza pratica inscritta nell’incontro sponsale tra uomo e donna. Questa affermazione, che oggi incontra una incomprensione radicale, non va però piegata immediatamente sulla norma che la significa e la custodisce. In altri termini, non c’è una assoluta e automatica identità fra la verità antropologica dell’amore (il suo essere fecondo) e la norma che proibisce l’artificialità dell’atto contraccettivo.Con Humanae vitae oltre Humanae vitae
La teologia morale, se vuole essere all’altezza del suo compito, deve saper pensare in modo più convincente questo legame fra amore sessuale e generazione.È significativo, in questo senso, evidenziare come le coppie credenti abbiano reagito alla norma espressa in Humanae vitae. Se alcune si sono attenute fedelmente, anche se spesso con sacrificio, alla norma magisteriale, molte hanno ignorato del tutto le indicazioni di Humanae vitae non comprendendone la logica o ritenendole inapplicabili. Altre, poi, pur avendole presenti, non sono state capaci di attuarle e magari sono ricorse alla coscienza in foro interno.A partire da questi dati, Salvino Leone ha proposto di percorrere un cammino di rifondazione della norma che evidenzi maggiormente la distinzione fra atto e mentalità contraccettiva, che valorizzi il sensus fidelium e quella che Newman chiamava la consultazione dei laici in materia di dottrina e, soprattutto, accolga in modo pieno il paradigma personalista rispetto a quello biologico e giusnaturalista.Una intenzione di fondo condivisa anche da Basilio Petrà, secondo cui l’etica normativa cattolica riguardo all’esercizio della sessualità trova il suo nucleo generatore nell’affermazione che l’unione sessuale è un atto proprio ed esclusivo degli sposi, dell’uomo e della donna uniti in matrimonio e fedeli ai fini del matrimonio. In forza di tale affermazione ogni luogo diverso rende tale uso per se moralmente riprovabile. Una asserzione che si può far forte di quanto Paolo afferma sul matrimonio come unico luogo in cui la sessualità non decade in porneia. Con lui inizia quell’alleanza fra morale e diritto in ambito sessuale e matrimoniale che arriva fino al secolo scorso, quando si fa strada l’idea di una non perfetta e automatica sovrapposizione fra ambito giuridico e ambito propriamente morale.È proprio all’interno di questa novità, recepita anche da alcune posizioni magisteriali, che si aprono rinnovate prospettive di ricerca e di riflessioni, in grado forse di ridurre la distanza fra la dottrina cattolica e l’ethos occidentale contemporaneo nell’ambito dell’amore sessuale, del matrimonio e della generazione.
L’enciclica «Humanae vitae» ha cinquant’anni ed è il documento più sofferto di Paolo VI, quello in cui ha avvertito il peso delle «chiavi di Pietro». Lo confida il 31 luglio 1968: «Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato. Sapevamo delle discussioni accese con tanta passione su questo importantissimo tema; sentivamo le voci fragorose dell’opinione pubblica e della stampa; ascoltavamo quelle più tenui, ma assai penetranti nel nostro cuore di padre e di pastore, di tante persone, di donne rispettabilissime, angustiate dal difficile problema e dall’ancor più difficile esperienza. Leggevamo le relazioni scientifiche sulle allarmanti questioni demografiche nel mondo, suffragate da studi di esperti e da programmi governativi; pubblicazioni, ispirate su particolari aspetti scientifici, considerazioni realistiche di molte e gravi condizioni sociologiche».
LUNGHISSIMA PREPARAZIONE – Nessuna enciclica ha avuto un tempo di gestazione così lungo, cinque anni (1963-68), e tanti consulenti. Paolo VI prende visione di tutto. Durante il Vaticano II (1962-65) fa sapere ai padri conciliari che riserva a sé le questioni di morale coniugale e che attende le conclusioni della «Commissione su popolazione, famiglia e natalità» istituita da Giovanni XXIII nel marzo 1963 e che Montini amplia a 60 membri, comprese coppie di sposi, e nel giugno 1966 aggiunge 16 vescovi e cardinali, tra cui Karol Wojtyla, futuro Giovanni Paolo II. Consulta i presidenti delle Conferenze episcopali e i vescovi presenti al primo Sinodo del 1967. Da questa montagna di apporti non ottiene un parere condiviso. La relazione di maggioranza, non contraria alla pillola, auspica una via nuova; quella di minoranza dichiara immutabile l’insegnamento che risale alla «Casti Connubii» di Pio XI.
GRANDISSIMA ATTESA – Pesa molto il fatto che un gruppo di cardinali di Curia, tra cui Alfredo Ottaviani, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, diffidenti nei suoi confronti, gli esprimono con durezza la convinzione che toccare questo punto vuole dire rovesciare la credibilità del magistero e della tradizione. Delicato e rispettoso come sempre, decide di ascoltare non il parere della maggioranza ma di chi gli consiglia di non staccarsi dalla tradizione. In un’intervista ad Alberto Cavallari, direttore del «Corriere della Sera» il 3 ottobre 1965, confida: «Tacere non possiamo. Parlare è un problema. La Chiesa non ha mai dovuto affrontare per secoli cose simili. E si tratta di materia diciamo strana per gli uomini della Chiesa, umanamente imbarazzante». Aperture alla contraccezione arrivano anche da mons. Albino Luciani, vescovo di Vittorio Veneto, futuro Giovanni Paolo I: ne parla più volte e lo scrive in un parere, fatto proprio dall’episcopato del Triveneto,
«PROCREAZIONE RESPONSABILE» – Datata 25 luglio 1968 e pubblicata il 29 luglio, è l’ultima enciclica di Montini: nei successivi dieci anni non ne scrive più. Animo forte e sereno, cosciente della delicatezza del tema e delle posizioni contrastanti, propone non il suo pensiero personale ma quello della Chiesa. Ribadisce la dignità del matrimonio. Afferma: «Il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana, per il quale gli sposi sono collaboratori di Dio creatore, è sempre stato fonte di grandi gioie, accompagnate da non poche difficoltà e angustie». Introduce il concetto di «procreazione responsabile». Dichiara moralmente illecito il ricorso alla pillola e a ogni mezzo anticoncezionale diverso dai metodi naturali. Affermato il diritto della coppia di agire secondo coscienza, educata e formata cristianamente, ed escludendo ogni indebita pretesa delle autorità politiche di porre limiti e censure alle decisioni della coppia. La contraccezione è contraria alla legge naturale: «La Chiesa ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi ma condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni oneste e serie. Nel difendere la morale coniugale nella sua integralità, la Chiesa sa di contribuire alla instaurazione di una civiltà veramente umana».
TEMPESTA SUI MEDIA DI TUTTO IL MONDO – C’è chi parla di «nuova Hiroshima nel cielo della stampa mondiale, laica e cattolica». Paolo VI sperimenta una strenua, irriducibile e violenta opposizione. La campagna più ostile alla Chiesa dopo il Concilio: il favore mediatico svanisce in maniera traumatica. I media, anche cattolici, si comportano con leggerezza e disinformazione dando per scontato un pronunciamento positivo sulla pillola perché il Sessantotto attribuiva alla coscienza soggettiva, cioè all’io, una dignità superiore a ogni indirizzo morale. Paolo VI aggiunge: «Benedico quelli che l’hanno accolta e anche quelli che hanno espresso critiche». Robert McNamara, segretario della Difesa ai tempi della sconfitta americana in Vietnam, presidente della Banca mondiale, dichiara che il Fondo monetario internazionale privilegerà i Paesi che sostengono il controllo delle nascite, spianando così la strada ai «gruppi di potere del contraccettivo».
UN MESE PRIMA DELLA MORTE – Dieci anni dopo, il 29 giugno 1978, un mese prima della morte, il Papa ribadisce che l’enciclica è ispirata «all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili». D’altra parte il cardinale arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini era stato molto colpito da Gianna Beretta Molla (1922-62) e dalla sua eroica scelta: madre di tre figli, rifiuta l’aborto e sacrificare la propria vita per dare alla luce la sua ultima creatura. Nel Natale 1962, è insignita della medaglia alla memoria nella «Giornata della riconoscenza». Montini convince della necessità di esaltare questa testimonianza e, da Papa, il 23 settembre 1973, cita i sacrifici del vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D’Acquisto e di Gianna «una madre che, per dare la vita al suo bambino, sacrifica con meditata immolazione la propria». Giovanni Paolo II il 6 maggio 2004 la canonizza.