Omelia per la IV Domenica di Pasqua ("Io sono il buon pastore")
La IV domenica di Pasqua è ogni anno dedicata al buon Pastore, immagine con cui Gesù si presenta nel 10° capitolo del Vangelo di Giovanni e che è particolarmente cara alla tradizione biblica e al cristianesimo primitivo.
Accanto a questo tema c'è la preghiera per le vocazioni sacerdotali. A Roma (così come in molte altre Diocesi del mondo) saranno consacrati nuovi sacerdoti. Sarà anche l'occasione per ringraziare e salutare il Cardinal Vicario De Donatis che è stato scelto dal Papa per altri incarichi.
"Io sono" è l'autopresentazione divina di Gesù che si rivela in questo caso come il:
Buon = esemplare, il vero pastore, modello (bello) del pastore.
Ogni sacerdote è un pastore a immagine del Pastore: non può essere un mestierante, un impiegato, un mercenario: come Gesù si affeziona e si dona alle pecore che gli sono affidate. Esse mi appartengono: le conosco e loro conoscono me: c’è un rapporto personale, intimo con ciascuna di esse.
In che cosa
consiste la sua bontà? Nell’essere pastore mite, gentile, paziente, delicato?
No, per ben 5 volte il vangelo oggi lo spiega con il gesto di dare, offrire,
donare, porre in gioco la propria vita. Fare le cose per amore (e secondo la “volontà
divina”). Chiediamoci: cosa farebbe Dio/Gesù in questa situazione?
Il lavoro di
Dio è offrire vita, alimentare la vita del gregge. Un Dio pastore che non
chiede, ma offre; che non prende niente e dona tutto; non toglie vita, offre la
sua anche a coloro che gliela tolgono. Questo è il comando che ha ricevuto dal
Padre. Non un comando ma “il” comando, l’unico, l’essenziale.
Come le pecore abbiamo bisogno di protezione. La vita è sempre in pericolo: ci sono lupi (che rapiscono= prendono per sé e disperdono), ladri e briganti. Non possiamo fidarci dei mercenari, dei salariati. Solo nell’affidarci a Lui sperimentiamo la grazia e la pace.
“Homo homini lupus” diceva il filosofo inglese Hobbes: "l'uomo è lupo per l'uomo", vive secondo istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dove il più forte comanda e spadroneggia sugli altri.
Gesù ci invita a
diventare come Dio per uscire da questa spirale dove il più forte comanda e schiaccia
per i propri interessi. Solo seguendo l’esempio di Dio l’uomo può realizzare la
sua umanità. A una cultura del prendere (fatta di competitività, rivalità e
violenza), subentra una cultura del dare (fatta di fraternità, solidarietà e
amore). Una vita bella, vivibile, divina.
Il pastore è nel linguaggio biblico il simbolo di chi governa, amministra, ha responsabilità (sacerdoti, ma anche genitori, nonni, maestri…). Il vero pastore comunica vita e libertà: il Vangelo non vuole assolutamente essere un invito alla sottomissione gregaria nella Chiesa, ma piuttosto una dura condanna per coloro che abusano della loro autorità. Tema attuale.
Il buon pastore è l’immagine positiva
dell’autorità. Gesù è il pastore ideale, il vero pastore, punto di riferimento
serio per tutti coloro che esercitano una qualche autorità nella Chiesa e nella
società.
Anche quelle di altri recinti: mandato
missionario. Diverranno un solo gregge (non un solo ovile): unità nella distinzione.
A ciascuno
ripete: tu mi importi. Siamo importanti
per Dio!
Signore, non
ti importa che moriamo? Gridano li apostoli spaventati dalla tempesta. E il
Signore risponde placando il mare, sgridando il vento, per dire: Sì, mi importa
di te, mi importa la tua vita, tu sei importante. Non temere!
Lo ripete a
ciascuno: mi importano i passeri del cielo ma tu vali di più. Mi importano i
gigli del campo ma tu conti più di tutti i gigli del mondo.
Il comandamento che impariamo dal
pastore bello è che la vita è dono. "Dare vita" significa contagiare
d’amore, libertà e coraggio chi avvicini, di vitalità ed energia chi incontri.
Significa trasmettere le cose che ti fanno vivere, che fanno lieta, generosa e
forte la tua vita, bella la tua fede, contagiosi i motivi della tua gioia.
Seguendo Gesù, pastore e tempio
perfetto (1° lettura: Gesù pietra angolare), fonte unica di salvezza, diventiamo
fratelli e Figli del Padre (2° lettura). Invito a guardare alle nostre origini
(Gesù incarnato nella storia, operante nel presente, nel suo nome = nella sua
persona) e al nostro futuro (quel che saremo e che non è stato ancora rivelato).