XXXII Domenica del T.O.: "Dieci vergini in attesa dello Sposo"
LETTURE
Siamo all’interno del grande discorso
escatologico, cioè sulla fine dei tempi, fatto da Gesù nei capitoli 24-25 di
Matteo: tre parabole del Signore su cosa significa vigilare (cf. Il
servo fedele e il padrone che tarda; le giovani prudenti e quelle stolte; i
talenti) seguite dal grande affresco sul giudizio finale. Nella sua redazione
Matteo insiste soprattutto
- sul tema dell’ignoranza circa il giorno e l’ora della parusia, della venuta gloriosa di Cristo;
- sul ritardo della parusia stessa;
- e ciò deve imporre a ogni credente una vigilanza fedele e saggia.
Cosa vuole dirci Gesù con questa parabola:
-
Che verrà la fine della nostra vita
e del mondo;
-
Che questa fine sarà come l’incontro
con lo sposo che arriva…quando non lo sappiamo;
-
Che la fine sarà l’inizio di una
festa di nozze a cui siamo invitati come “amiche della sposa” (le 10 vergini), dove
la sposa non è indicata, ma possiamo immaginare che rappresenti la Chiesa, dunque
amici della Chiesa;
-
Che nell’attesa dello sposo tutti
ci addormentiamo: non basta la buona volontà di rimanere svegli. Occorre prepararsi
e calcolare anche questo assopimento.
-
Che ci conviene essere saggi e non
stolti, pena l’esclusione dalla festa (dall’essere accolti nel paradiso?);
-
Che essere saggi significa VEGLIARE
con la LAMPADA ACCESA e l’OLIO di RISERVA;
Avvicinandoci alla fine dell’anno liturgico torna dunque il tema
dell’attesa della fine dei tempi: un’attesa che richiede una fede (almeno pari
ad un lumino che illumina la notte) alimentata dalla preghiera e dalla carità
(l’olio di riserva che fa da combustibile al lumino):
UNA FEDE SENZA CARITA’, senza opere concrete di servizio e di dedizione per
gli altri, È DESTINATA AD
ESAURIRSI, A MORIRE.
Dobbiamo essere pronti a questo
incontro: stoltezza o prudenza/saggezza, non c’è alternativa. E in cosa consiste la
differenza? Nel prepararsi o meno all’incontro con il Signore, prendendo con sé
l’olio! L’incontro con il Signore va preparato prima. Lo stolto, invece, è
disattento, parla, ma non agisce.
Stolto è chi ha un vaso vuoto, una vita
vuota, spenta, senza carità. Qualcosa
che non può essere né prestata, né divisa. Può essere acquistata con il nostro impegno.
Non è allora l’egoismo a portare le sagge a rifiutare la richiesta delle stolte.
Il senso profondo di queste parole è un richiamo
alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono
o onesto al posto mio, cercare e desiderare Dio per me. Nel giudizio finale nessuno è più in grado di fare
qualcosa per un altro: ognuno deve rispondere per sé.
“Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “non vi
conosco”. L’incontro con il Signore è al tempo stesso festa e giudizio. In
altre parole, nell’ultimo giorno, al momento di dare inizio al banchetto del
Regno, il Signore Gesù Cristo non potrà non mettere in luce la verità della
nostra vita, mediante quel giudizio che noi confessiamo nel “Credo” (“di nuovo
verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”), giudizio che è
assolutamente necessario affinché la storia abbia un senso.
In ballo c’è l’ingresso al regno
dei cieli alla venuta del figlio dell’uomo: una casa aperta per chi si sarà
fatto trovare pronto e chiusa per chi si sarà fatto trovare impreparato.
All’interno si svolge una festa nuziale che non viene
descritta: il racconto si chiude infatti con la scena della porta che rimane chiusa.
Non è descritta la gioia delle ragazze che sono entrate, ma la disperazione di
quelle rimaste fuori. Non si descrive la gioia che si vivrà nel regno dei
cieli, cosa che il narratore dà per nota, ma si vuol far capire quanto è brutto
restarne fuori.
“Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né
l’ora”. Così Gesù conclude e commenta la parabola, con parole
che costituiscono il monito decisivo per noi.
Siamo chiamati a essere figli del giorno, a vivere
nella luce, a essere consapevoli di ciò che viviamo e di ciò che ci accade
intorno. E in questo è fondamentale vivere in una dimensione di preghiera.
All’inizio della nostra vita spirituale, nel nostro
Battesimo, accogliendo la candela accesa al cero pasquale che rappresenta il
Cristo vivente in eterno ci è stato detto:
“A voi,
genitori, e a voi, padrini e madrine, è affidato questo segno pasquale, fiamma
che sempre dovete alimentare. Abbiate cura che i vostri bambini, illuminati da
Cristo,
vivano sempre come figli della luce; e perseverando nella fede, vadano incontro
al Signore che viene, con tutti i santi, nel regno dei cieli”.