Le polemiche nella chiesa di Verona e il rapporto tra Chiesa, politica e potere
L'elezione per il nuovo sindaco di Verona ha fatto esplodere un nuovo conflitto ecclesiale tra il vescovo Mons. Giuseppe Zenti, noto per i suoi interventi politici volti a sostenere i candidati di centro-destra, e il professore di religione, nonchè sacerdote diocesano, Marco Campedelli, noto anche come "burattinaio" e reo di aver pubblicamente criticato la presa di posizione del suo vescovo. Questi è stato proprio in questi giorni sostituito - per raggiunti limiti di età- da Mons. Pompili, prima vescovo di Rieti.
La polemica è degenerata quando si è diffusa la voce del licenziamento del professore e sono scesi in campo, a sua difesa, Adista e il filosofo "eterodosso" Vito Mancuso. Dall'altra parte è giunta una smentita del licenziamento da parte della diocesi, ma non del vescovo che ha espresso contrarietà al fatto che un professore di religione possa insegnare non essendo in comunione con il suo vescovo.
C'è materia di riflessione: sul ruolo della Chiesa in politica, sul ruolo dei vescovi nell'esercizio del loro potere, sul ruolo dei professori di religione che si muovono sul doppio binario dello Stato e della Chiesa.
IL VESCOVO, IL PROFESSORE E LA CHIESA INTOLLERANTE l'articolo del prof.#VitoMancuso su #LaStampa del 2 luglio 2022
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Un vescovo licenzia un professore di religione per le critiche ricevute in seguito alle sue indicazioni elettorali. Il fatto è avvenuto a Verona e solleva due domande: 1) può un vescovo dare indicazioni elettorali? 2) può un vescovo licenziare un professore di un liceo statale? Io sono convinto che alle domande sollevate si debba rispondere con due espliciti no, e ora argomento il mio pensiero.
I due protagonisti sono mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, dimissionario per raggiunti limiti di età ma ancora in carica perché il successore non è stato ancora nominato dal Vaticano, e Marco Campedelli, da 22 anni professore di religione presso il Liceo Maffei di Verona, già parroco nel centro di Verona, teologo e anche uomo di spettacolo in quanto esperto burattinaio. Mons. Zenti è noto per le posizioni conservatrici, ma su questo a mio avviso non esiste problema: in quanto libero cittadino italiano anche un vescovo può del tutto lecitamente avere le sue opinioni politiche ed è libero di manifestarle. Il punto non sono le personali idee politiche, sono piuttosto le “indicazioni elettorali” date dal vescovo in quanto supremo pastore ai fedeli della diocesi e in particolare al clero (a cui si chiede poi di raggiungere capillarmente i fedeli). Una cosa, infatti, sono le idee politiche, un’altra cosa, del tutto diversa, le indicazioni elettorali: nel primo caso si offrono elementi per pensare, nel secondo, esattamente all’opposto, si richiede l’obbedienza. Per questo un vescovo non può invitare apertamente il clero e i fedeli a votare per questa o quella precisa formazione politica, sia essa di destra o di sinistra. Però è proprio quanto ha fatto mons. Zenti qualche giorno prima del secondo turno per l'elezione del sindaco di Verona.
Immediatamente dopo le sue esternazioni a favore del centrodestra, Campedelli si è opposto, sia nel consiglio dei teologi sia pubblicamente tramite uno scritto pubblicato da una rivista specializzata che faceva rapidamente il giro della città. Le elezioni, come tutti sanno, sono finite con la vittoria del candidato non gradito a Zenti, cioè Damiano Tommasi, di cui si potrebbe parlare come di un "cattolico adulto", per riprendere la definizione che Prodi diede di sé al tempo del referendum bioetico urtando non poco il cardinal Ruini. Infine mons. Zenti si è preso la rivincita, o forse meglio, la vendetta, licenziando Campedelli.
Politicamente quanto accaduto rappresenta un’indebita ingerenza nella laicità dello Stato. Ed ecclesialmente? A questo riguardo è sufficiente dire che mons. Zenti è l'esponente di quella superata concezione del rapporto chiesa-mondo che papa Francesco deplora insistentemente denominandola "clericalismo". Clericalismo è la concezione del clero come potere, come potere assoluto a cui anche la politica su alcune cose deve sottostare e che, dopo Gregorio VII e Pio IX, ha avuto nel card. Ruini l’ultimo glorioso esponente. Questa tradizione guelfa e papalina in altre parti del mondo si chiama "teocrazia": si pensi ai talebani, agli ayatollah, ai partiti religiosi della destra israeliana, all’ideologia hindu di Modi oggi al potere in India. Anche Trump e i suoi fanno parte ovviamente di questa compagine che può giungere a colpire pesantemente, come è avvenuto di recente con la sentenza della Corte suprema americana in materia di aborto.
Ma c’è un’ulteriore questione che riguarda molto da vicino le nostre scuole e la cultura che trasmettono. Io penso che non sia ammissibile che un vescovo possa licenziare un professore di un liceo statale con anni di insegnamento e un gradimento umano e professionale conosciuto da tutta la città. Penso che in uno Stato laico questo sia semplicemente inammissibile e debba offrire l'occasione per ripensare l'insegnamento della religione nelle nostre scuole. Essa va tolta dalle mani della Chiesa (che oggi ha potere totale su programmi e insegnanti) e consegnata, come tutte le altre discipline, allo Stato e alle competenze specifiche di cui esso si avvale. Esattamente come per la filosofia, la musica, l'arte, la letteratura e ogni altra materia. Dirò di più: oggi la religione, anzi le religioni, sono un fattore geopolitico essenziale per capire il nostro mondo, basti pensare al terrorismo islamico, alla questione palestinese, alle tensioni India-Pakistan, all’eredità confuciana in Cina, alla Bible Belt americana, al patriarca Kirill e alle chiese autocefale del mondo ortodosso… Di fronte a tutto cià il modo in cui la materia religiosa viene oggi insegnata, riducendola a un’esposizione dottrinale (e controllata dall’alto) della sola religione cattolica, non è per nulla all’altezza. Senza calcolare le logiche di potere di cui ha dato esempio mons. Zenti, mostrando nel modo più plateale il potere dispotico che lo Stato concede all'episcopato. Tutto ciò, a mio avviso, va profondamente rivisto: lo dico per il bene della religione e soprattutto per quello dei nostri ragazzi, le cui coscienze hanno bisogno anche delle religioni per capire il mondo di oggi.
L’increscioso gesto di mons. Zenti può quindi servire per aprire una seria riflessione sull'insegnamento della religione nelle nostre scuole. Quanto infine a Marco Campedelli, di cui ho la fortuna di essere amico, gli manifesto anche qui la mia stima per la libertà e il coraggio dimostrati e la solidarietà per l'ingiustizia subita. Sono sicuro che i suoi burattini l’aiuteranno a continuare nella produzione di un'eccellente teologia narrativa e di una spiritualità amica dell’umanità e della sua libertà.
Vito Mancuso, La Stampa 2 luglio 2022