Il dibattito sulla maternità surrogata
Riesplode il dibattito sulla maternità surrogata o "utero in affitto". Per capire le diverse posizioni senza pregiudizi, consiglio questo articolo pubblicato, a firma di Giuseppe Savagnone, sul sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 17 marzo 2023:
La bocciatura del certificato europeo di filiazione
La bocciatura, da parte della maggioranza, della proposta, avanzata dalla Commissione europea, di istituire un certificato europeo di filiazione – in base a cui la genitorialità stabilita in uno Stato membro verrebbe automaticamente riconosciuta in tutti gli altri – , ha suscitato un’ondata di indignazione. Si è parlato di un’Italia «che discrimina i figli delle coppie gay» e di «bimbi traditi» («La Stampa»), di un «salto all’indietro» con cui il nostro paese «si allontana dal cuore democratico del continente» («Repubblica»).
A difendere la decisione sono rimasti, oltre al giornale dei vescovi, «Avvenire», quelli della destra, gli stessi che hanno sostenuto la piena legittimità dell’azione delle istituzioni in occasione del tragico naufragio di Cutro e di quello, di poco successivo, verificatosi al largo della Libia. È forte, a questo punto, la tentazione, per chi su quelle vicende ha una visione diametralmente opposta, di collegare le due prese di posizione del nostro governo, condannandole entrambe con lo stesso sdegno.
Una reazione emotiva su cui però è giusto far prevalere la fedeltà ad uno spirito critico che esige di ascoltare le ragioni in campo in questa vicenda, come si è fatto in quella relativa ai migranti.
Secondo Eugenia Roccella, ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, che ha spiegato la linea del governo in un’ampia intervista al «Corriere della sera», «il problema è uno solo: la maternità surrogata, che – ha precisato – preferisco chiamare utero in affitto perché è più chiaro che c’è una compravendita della genitorialità, un vero e proprio mercato». E ha aggiunto: «Non è un problema di omosessuali o eterosessuali, è molto sbagliato pensare che chi è contro questo mercato voglia colpire gli omosessuali». E in effetti, la pratica del ricorso alla maternità surrogata è più diffusa tra le coppie eterosessuali che tra quelle gay. «È la pratica dell’utero in affitto – ha concluso – che va combattuta anche a livello internazionale».
Senza voler ridurre l’intera questione a questo punto, esso è dunque sicuramente un fattore importante di cui tenere conto nel valutare la situazione. Ma vediamo meglio di cosa si stratta.
La “maternità surrogata” o “gestazione per altri”
La “Surrogazione di maternità” o “gestazione per altri (Gpa)” è una tecnica di procreazione assistita in cui una donna, detta “gestante per altri”, o “madre surrogata gestazionale” provvede alla gestazione per conto di una o più persone, che saranno il genitore o i genitori del nascituro.
Il ricorso a tale tecnica di solito viene sancito attraverso un contratto di surrogazione gestazionale; in esso, il futuro genitore o i futuri genitori e la “gestante per altri” dettagliano il procedimento, le sue regole, il possibile contributo economico per le spese mediche della gestante e per l’impegnativo percorso della gravidanza da intraprendere. La fecondazione può essere effettuata con spermatozoo e ovuli sia della coppia sterile, sia di donatori e donatrici attraverso concepimento in vitro.
Si possono facilmente trovare su Internet delle accorate difese di questa pratica. Che cominciano solitamente col rifiutare sdegnosamente l’espressione “utero in affitto”. Leggiamo su uno di questi siti («Cliniche di fecondazione eterologa»): «L’uso del termine “utero in affitto” suggerisce che non siamo in un processo medico e sociale, ma prima in un semplice atto di acquisto-vendita … nulla di più lontano dalla realtà. La “maternità surrogata” (…) non è un atto commerciale o il noleggio di una parte del corpo altrui; è molto spesso un atto di coraggio e grande forza interiore, da parte della madre gestante, che desidera aiutare una coppia a diventare una famiglia; possiamo dire che è anche un grande gesto d’amore e sacrificio».
Per contro, c’è chi non condivide questa esaltazione della gratuità. Giuseppina La Delfa, in un articolo su «Huffpost» del 6 dicembre 2016, dopo aver difeso la maternità surrogata dai tentativi di vietarla – : «volere impedire una pratica legale altrove (e che esiste dai tempi biblici) è pura fantasia strumentale e ideologica» -, scrive che «desiderare una Gpa altruistica e senza scambi di denaro non solo è mostrare di vivere al di là del mondo reale, ma è anche un’opzione estremamente pericolosa: è solo dare l’opportunità ai delinquenti e criminali di ogni genere di schiavizzare davvero le donne e usare i loro grembi a fine di lucro. Che le femministe non lo capiscano mi è del tutto incomprensibile». Per lei, insomma, «la gratuità è una grande menzogna: c’è un prezzo da pagare per qualsiasi cosa, e il denaro non è sporco specie se serve a dare gioia e felicità».
Questo secondo punto di vista sembra il più corrispondente alla realtà. Basta andare su Internet e ci si rende conto che siamo davanti alla logica di qualunque prestazione commerciale. Siamo andati su uno dei siti che la propongono, «Success», dove si legge fra l’altro: «Noi offriamo programmi di maternità surrogata e donazione di ovociti, sperma ed embrioni, che siamo pronti ad avviare subito senza lista d’attesa, ai prezzi accessibili, con la garanzia della qualità e del successo». È la terminologia del mercato.
E non a caso il mercato si basa sull’offerta di chi ha più bisogno. Già prima della guerra un paese dove la maternità surrogata era permessa e diffusa, attraverso agenzie private, era l’Ucraina, dove il prezzo medio di un “pacchetto” variava mediamente dai 30mila ai 50mila dollari (un quinto del suo costo negli Stati Uniti). Ora il conflitto, rendendo ancora più precarie le condizioni di vita, ha incrementato il business.
Valutazioni contrastanti
Come valutare questa pratica? Le opinioni sono discordi. Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione “Luca Coscioni”, è nettamente favorevole. «Purtroppo c’è chi considera ancora la gestazione per altri una pratica “disumana”. Disumano è impedire di avere dei figli a chi non può portare avanti una gravidanza».
Ma ci sono state e ci sono organizzazioni femministe che criticano aspramente quella che giudicano una forma di sfruttamento e di avvilimento della donna. Nel febbraio del 2016 si è tenuto in Francia un convegno per l’Abolizione universale della maternità surrogata («Assises pour l’Abolition universelle de la Gpa»), organizzato da Sylviane Agacinski, voce storica del femminismo francese, e docente all’«Ecole des hautes études en sciences sociales». A conclusione dei lavori dell’assemblea, è stata formulata la richiesta formale perché la pratica della maternità surrogata venga proibita e resa illegale in tutto il mondo. Riassumendo le motivazioni di questa richiesta, la Agacinski, spiegava:
«È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini. Per di più, l’uso delle donne come madri surrogate poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti, che appartengono alle classi sociali più agiate e ai Paesi più ricchi, comprano i servizi delle popolazioni più povere su un mercato neo-colonialista. Inoltre, ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana. Ma si tratta giuridicamente di una persona e non di una cosa».
Anche in Italia una nota esponente femminista come Luisa Muraro, filosofa e fondatrice della «Libreria delle donne» di Milano, ha preso una posizione duramente negativa: «Non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi, eppure ce lo vogliono far credere (…). L’utero in affitto si innesta in questa tendenza, anche se è nato prima, negli Usa, con gli effetti che sappiamo. È la strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne».
Le posizioni del Parlamento europeo e della Commissione europea
La posizione dell’UE sulla questione è stata contraddittoria. Da un lato, il Parlamento europeo, nella primavera del 2022, ha condannato senza mezzi termini la maternità surrogata, affermando che essa «può esporre allo sfruttamento le donne di tutto il mondo, in particolare quelle più povere e in situazioni di vulnerabilità», sottolineando «le gravi ripercussioni della maternità surrogata sulle donne, sui loro diritti e sulla loro salute, le conseguenze negative per l’uguaglianza di genere».
Pochi giorni dopo, però, la Commissione europea, rispondendo a un’interrogazione fatta da alcuni eurodeputati a proposito della «Fiera dell’utero in affitto», tenutasi a Bruxelles il 6 e il 7 novembre 2021, rifiutava di prendere una posizione negativa e anzi preannunciava «un’iniziativa sul riconoscimento della genitorialità tra gli Stati membri che potrebbe includere anche questioni di diritto internazionale privato relative alla maternità surrogata». Iniziativa che si è concretizzata nella proposta del certificato di filiazione di cui si parlava all’inizio, che sdogana quella pratica a livello europeo, anche nei paesi dove non è ammessa dalla legge.
Che si tratti di coppie eterosessuali o di coppie gay, il risultato sarebbe comunque che chiunque abbia un figlio attraverso la maternità surrogata in un paese dell’Unione in cui questa pratica è ammessa, vedrebbe riconosciuta la sua genitorialità anche in quelli, come l’Italia, dove invece è vietata. A questo punto diventerebbe solo questione di possibilità economiche permettersi un viaggio all’estero, oltre al pagamento della prestazione da parte della donna, per acquisire tale certificato. Si incoraggerebbe e rafforzerebbe, insomma, il ricorso alla maternità surrogata. E, francamente, ci sembra che le argomentazioni critiche sopra riportate, peraltro da un punto di vista rigorosamente laico, siano sufficienti a dire che un simile esito non è auspicabile.
Il problema dei bambini che già sono nati con questa procedura esiste sicuramente. Ma è su questo, forse, che bisognerebbe lavorare. Senza farsene uno scudo per difendere una richiesta, com’è quella della Commissione europea, la cui logica implica la mercificazione capitalistica del corpo femminile e del processo generativo.