Omelia per la XVIII domenica del T.O.: "la vita non dipende da ciò che si possiede"
Gesù sta insegnando alla folla ad affidarsi a Dio, a combattere
l'ipocrisia, a non temere le persecuzioni (lo deduciamo dai discorsi che
precedono il nostro brano). Sono discorsi alti, forse poco comprensibili. Così
uno della folla approfitta dell'autorità morale che mostra di avere Gesù e
cerca di coinvolgerlo in ciò che gli sta veramente a cuore e lo tormenta: avere
una parte dell'eredità che il fratello (probabilmente il primogenito) ha
ricevuto: "di a mio fratello - che sta ascoltando le tue parole, ma con
cui molto probabilmente non ci parliamo più - che divida l'eredità".
Gesù non si fa usare, non si fa
intrappolare nelle nostre meschine diatribe: lo rimprovera (come aveva fatto
più amabilmente con Marta) e lo ammonisce esortando tutti:
«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
La "CUPIDIGIA" è la
bramosia di avere, il desiderio morboso di arricchire, accumulare, possedere
sempre di più. E' la fissazione per qualcosa da possedere da cui - ci sembra -
possa dipendere la nostra felicità.
E racconta questa parabola
dell'imprenditore "stolto" mettendoci di fronte ai veri valori della
vita: davanti alla morte - imprevedibile ed ineluttabile - cosa ha veramente
valore? E di fronte alla vita eterna, cosa vale?
"Arricchitevi presso Dio -
conclude Gesù. "Cercate le cose di lassù" - gli fa eco san Paolo,
perchè tutto in questo mondo passa, tutto rischia di rivelarsi
"vanità", cioè vuoto, mancante di senso e di valore. Tutto passa,
solo l'amore resta: solo Dio e le relazioni vissute in Dio restano. Sono queste le ricchezze da cercare: ricchi di relazioni, d'amore.
L'imprenditore "ragiona tra sè", parla di se stesso e di ciò che è suo. Ripete tante volte: "io" e "mio". Ma con Dio perde importanza l'io e il mio e prevale il tu/noi e il nostro ("Padre nostro..."). Siamo ricchi solo di ciò che doniamo.
In Dio le ricchezze sono da condividere (e per condividere): sono strumenti da amministrare per Dio, a favore di chi ha bisogno. Chi accumula per se perde la sua umanità, svuota di senso e di eternità la sua vita. "Non si può servire Dio e il denaro": se scegliamo di servire il denaro, esso diventa il nostro dio, un dio che ci rende schiavi, un dio che presto si rivelerà essere un tiranno crudele.
Da "Il Vangelo dell'amore":
Essere
libero dalle cose materiali, saperle usare per amare e non amarle per poterle
usare. La ricchezza, non è cattiva in sé: è l’attaccamento ad essa ad essere
cattivo, perché schiavizza, imbriglia e imbroglia la persona che vive per essa,
per possedere, per avere e non per essere.
Mai
Gesù condanna la ricchezza e i beni terreni per se stessi. Tra i suoi amici c’è
anche Giuseppe d’Arimatea “uomo ricco”; Zaccheo è dichiarato “salvo”, anche se
trattiene per sé metà dei suoi beni, che dovevano essere considerevoli. Ciò che
egli condanna è l’attaccamento esagerato al denaro e ai beni e l’ “accumulare
tesori solo per sé” (cfr. Lc 12,13-21).
Due
motivazioni sono alla base di questa denuncia evangelica. La prima è una
considerazione di saggezza e fa leva sul fatto che è pazzia considerare scopo
principale della vita ammassare ricchezze, costruirsi ville su ville, quando si
sa che da un momento all’altro si può essere chiamati a lasciare tutto: «Stolto, questa
notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi
sarà?» (Lc 12,20). La seconda è una motivazione di fede. La ricchezza rende
difficile entrare nel Regno. Più difficile che per un cammello passare
attraverso la cruna di un ago.
La parola di Dio chiama l’attaccamento eccessivo al denaro idolatria.
Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia. E si
capisce il perché. Chi è, oggettivamente (cioè nei fatti, se non nelle
intenzioni), il vero nemico e il concorrente di Dio, in questo mondo? Satana?
Ma nessun uomo decide di servire, senza motivo, Satana. Chi lo fa, lo fa perché
crede di riportarne qualche beneficio temporale. Chi è, nei fatti, l’altro
padrone, l’anti-Dio, ce lo dice chiaramente Gesù: “Non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6,24)[1].
L’attaccamento alla ricchezza è tra i principali motivi di
divisione, di odio anche tra gli stessi familiari (ad esempio quando ricevono
l’eredità dei genitori). L’avarizia ci rende sospettosi, infelici, soli,
indifferenti alle sofferenze altrui, incapaci di vivere veramente e dunque di
ricevere la vita eterna.
[1] R. Cantalamessa, omelia
per la XXVIII domenica del tempo ordinario (anno B). L’attuale traduzione non
parla più di Mammona, ma più chiaramente di ricchezza.
La
storia del pescatore
Un uomo d'affari incontrò sulla riva del mare un pescatore. Notò con fastidio che era sdraiato accanto alla propria barca e si godeva tranquillamente il sole."Perché non stai pescando?" Domandò l'uomo d'affari."Perché ho già pescato abbastanza pesce per tutto il giorno.""E perché non ne peschi ancora?""E cosa ne farei?""Guadagneresti più soldi. Potresti comprare un motore da attaccare alla tua barca per andare più al largo e pescare più pesci. Così potresti avere più denaro per acquistare una rete di nailon, e avendo ancora più pesci avresti più denaro. Presto avresti tanti soldi da poterti comprare due barche o addirittura una flotta. Allora potresti finalmente diventare ricco come me.""E a quel punto cosa farei?" chiese il pescatore."Ovvio, potresti rilassarti e goderti la vita" rispose l'uomo d'affari.E il pescatore, con un sorriso... "Cosa credi che stia facendo ora?"