Preti e cronaca: qualche volta ne escono bene
Con abito sacerdotale e stola viola si era esibito in un saluto romano durante una celebrazione al Cimitero Maggiore. Ora si scusa. Ma l'abito non fa il monaco..."Non è un sacerdote della Chiesa Cattolica" Orlando Amendola, denunciato dalla polizia per il saluto romano fatto al Cimitero Maggiore di Milano lo scorso sabato 20 maggio durante una cerimonia commemorativa per Umberto Vivirito, militante del gruppo eversivo di estrema destra Avanguardia Nazionale (morto nel 1977 durante una rapina). La precisazione arriva ora da don Davide Milani, portavoce della Curia di Milano, dopo la diffusione da parte delle autorità di un comunicato in cui si faceva riferimento a lui come a un sacerdote della Chiesa Cattolica polacca. "Non è un prete della Chiesa Cattolica. E non ha mai ricevuto alcun incarico per essere il cappellano del cimitero", fa sapere il portavoce.Negli ultimi giorni aveva avuto una certa eco la foto di Amendola che, con abito sacerdotale e stola viola, si era esibito nel saluto romano: e subito nel mondo dei social era partita una campagna di denuncia nei confronti del gesto in questione. Critiche condivisibili che però prendono una piega erronea quando le accuse coinvolgono anche la Chiesa cattolica.Il motivo è semplice. L’abito non fa sempre il monaco. Amendola infatti – che nel frattempo si dichiara pentito del gesto – non è un prete della Chiesa cattolica, ma per sua stessa ammissione nel proprio profilo Facebook si dichiara “sacerdote vetero-cattolico” della “Chiesa Cattolica Nazionale in Polonia”. Una definizione a dire il vero non molto chiara. Infatti non corrisponde perfettamente a nessuna delle comunità “vetero cattoliche” recensite dal sito specializzato Cesnur. Ma abbastanza netta per far capire che Orlando Amendola, nonostante le apparenze (tonaca e stola), non ha nulla a che fare con la Chiesa cattolica e tantomeno è «il cappellano» del Cimitero Maggiore di Milano.
Questa è una piccola “brutta” storia ma che sta dando ottimi frutti.Arriva dalla pagina Facebook della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita, in zona Corvetto, periferia sud di Milano. E come tutte le notizie, soprattutto quelle che girano sui social, va verificata.Al telefono la voce femminile che risponde al numero della parrocchia, appena dici che sei un giornalista, si irrigidisce un po’. E ti liquida con un “il parroco non c’è”.Sfoderi la voce più pacata che riesci a fare e spieghi: “Volevo soltanto sapere se la storia è vera e se la pagina Facebok della parrocchia è davvero vostra”.“Sì, è tutto vero. Ma il parroco non c’è”.
Il parroco è don Andrea Bellò, diventato famoso nelle ultime ore, suo malgrado, per un post Facebook che ha firmato e pubblicato sulla pagina della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita.Ottenere 3700 reazioni, 307 commenti e 1590 condivisioni, per una pagina che normalmente registra 15 mi piace, è un record.
A colpire gli utenti è stata la reazione di don Andrea, dopo che il muro della sua parrocchia è stato imbrattato con una scritta offensiva: “Aborto libero (anche per Maria)”.Il parroco ha deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta all’anonimo “imbrattatore”.Eccola:«Caro scrittore anonimo di muri,Mi dispiace che tu non abbia saputo prendere esempio da tua madre. Lei ha avuto coraggio. Ti ha concepito, ha portato avanti la gravidanza e ti ha partorito. Poteva abortirti. Ma non l’ha fatto. Ti ha allevato, ti ha nutrito, ti ha lavato e ti ha vestito. E ora hai una vita e una libertà. Una libertà che stai usando per dirci che sarebbe meglio che anche persone come te non ci dovrebbero essere a questo mondo. Mi dispiace ma non sono d’accordo. E ammiro molto tua mamma perché lei è stata coraggiosa. E lo è tutt’ora, perché, come ogni mamma, è orgogliosa di te, anche se ti comporti male, perché sa che dentro di te c’è del buono che deve solo riuscire a venire fuori. L’aborto è il “non senso” di ogni cosa. È la morte che vince contro la vita. È la paura che vince su un cuore che invece vuole combattere e vivere, non morire. È scegliere chi ha diritto di vivere e chi no, come se fosse un diritto semplice. É un’ideologia che vince su un’umanità a cui si vuole togliere la speranza. Ogni speranza. Io ammiro tutte quelle donne che pur tra mille difficoltà hanno il coraggio di andare avanti. Tu evidentemente di coraggio non ne hai. Visto che sei anonimo. E già che ci siamo vorrei anche dirti che il nostro quartiere è già provato tanti problemi e non abbiamo bisogno di gente che imbratta i muri e che rovina il poco di bello che ci è rimasto. Vuoi dimostrare di essere coraggioso? Migliora il mondo invece di distruggerlo. Ama invece di odiare. Aiuta chi è nella sofferenza a sopportare le sue pene. E dai la vita, invece di toglierla! Questi sono i veri coraggiosi! Per fortuna il nostro quartiere, che tu distruggi, è pieno di gente coraggiosa! Che sa amare anche te, che non sai neanche quello che scrivi! Io mi firmo:don Andrea»
REGGIO CALABRIA - «Cosa posso dire di questi giovani? Posso soltanto ripetere le parole di Gesù sulla Croce: "Dio perdonali perché non sanno quello che fanno"». Lo ha detto in un’intervista al TG3 della Calabria il sacerdote don Giorgio Costantino, di 74 anni, facendo riferimento ai giovani responsabili della sua aggressione, avvenuta la sera del 24 maggio scorso a Reggio Calabria (LEGGI LA NOTIZIA).Per l’aggressione a don Giorgio, giornalista pubblicista ed impegnato da sempre nel sociale, i carabinieri hanno arrestato il responsabile, Giacomo Gattuso, di 25 anni, ed i suoi quattro presunti favoreggiatori (LEGGI).GUARDA IL VIDEO DELL'AGGRESSIONEIl sacerdote, nelle dichiarazioni fatte dal suo lettino degli "Ospedali riuniti" di Reggio Calabria, dove si trova ancora ricoverato, ha rievocato le fasi dell’aggressione ai suoi danni, avvenuta davanti l’ingresso della canonica della parrocchia di Santa Maria del Divin Soccorso.LEGGI TUTTE LE NOTIZIE IN AGGIORNAMENTO DINAMICO SULL'AGGRESSIONE A MONSIGNOR GIORGIO COSTANTINO«Giocavano a calcio - ha detto don Giorgio nell’intervista - e data l’ora tarda, sono sceso e mi sono affacciato per invitarli a non gridare e non usare il cancello della canonica come porta. La loro reazione violenta mi ha ferito, nel corpo e nell’animo. Adesso, per fortuna, sto meglio, ma ho vissuto davvero un brutto momento».
Il coraggio di padre Modesto, morto mercoledì notte a Genova: «Il dolore se vissuto con speranza porta gioia». Il funerale del religioso il primo giugno al Santuario della Madonnetta.«Ora che posso solo sognare ad occhi aperti e col cuore che batte capisco che la vita non è con i piedi per terra che ti obbligano a pensare solo a quello che vedi perché in questo modo ti perdi il bello della vita con la “V” maiuscola, pertanto ringrazio il Signore che mi ha regalato questa SLA…vina» sono le ultime parole scritte da padre Modesto Paris - morto nella notte tra il 30 e il 31 maggio nell'ospedale “Villa Scassi” a Genova - ai suoi ragazzi, ai giovani del movimento Rangers da lui fondato nel 1984 al Santuario della Madonnetta a Genova, agli amici di una vita intera fatta di gioia ma anche di sofferenza.Due anni fa a padre Modesto Paris avevano diagnosticato la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, a cui lui si è sempre riferito in modo scherzoso chiamandola Slavina, una slavina che secondo le intime parole che gli ha rivolto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova porterà tante vocazioni alla Chiesa. Anche il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti ha ringraziato a nome di tutta la Chiesa padre Modesto per il suo «impareggiabile servizio al valore della vita».Padre Modesto sino alla fine aveva scelto di vivere, anzi di celebrare il valore della vita arrivando a rifiutare la sedazione: «Non mi voglio arrendere - aveva sempre ripetuto padre Modesto, prima di morire -. Se potessi ancora parlare ripeterei a gran voce le parole di papa Francesco: “Il dolore è dolore, ma vissuto con gioia e speranza ti apre la porta alla gioia di un frutto nuovo”. Non potendo urlare lo scrivo sul tablet che mio fratello Andrea sorregge. Uso tre dita della mano destro. L’unica parte di me che ancora riesco a muovere. Oltre agli occhi».
Padre Modesto: ecco perché ho sempre detto sì alla vita
«I medici sono stati chiari: mi hanno detto che solo il 15 per cento delle persone nelle mie condizioni decide di continuare a lottare. Il mio sì alla vita, nonostante le statistiche, è stato però immediato - aveva spiegato padre Modesto Paris in un'intervista rilasciata a Panorama -, senza esitazioni. E non solo perché sono un uomo di fede, frate agostiniano scalzo, ordinato sacerdote 33 anni fa da Papa Giovanni Paolo II. L’ho fatto perché amo la vita in ogni sua sfaccettatura. Ho puntato tutto il mio sacerdozio sull’esempio».Per dare l'esempio e offrire una testimonianza gioiosa del Vangelo padre Modesto si era impegnato, già nel 1984, - seguito da un gruppo di cinque giovani, tra cui anche il giornalista Guido Castellano a cui ha rilasciato la sua ultima intervista per Panorama - fondando il movimento Rangers. In trent'anni vi si sono avvicinati migliaia di ragazzi, indossando al collo il fazzoletto promessa simbolo di appartenenza al gruppo e partecipando a riunioni, gite, bivacchi, campeggi estivi e invernali. Ma anche a recite, spettacoli e musical, vivendo a pieno lo spirito del Vangelo e trasformando il gruppo in una «famiglia allargata» unita da una fede viva aperta e gioiosa.