CARATTERISTICHE DELL’EDUCATORE DEI GIOVANI IN PARROCCHIA (schema)
- Educare è più che animare
- Educatori si diventa, ci si forma, si cresce con chi si educa. Si lascia educare
- Educatore è chi riconosce di aver ricevuto qualcosa di importante (fede, valori umani…) e sente il bisogno di offrire anche ad altri questa opportunità.
- L’educatore è autorevole, non autoritario: è credibile, coerente… Non è ipocrita, ma cerca di comunicare le cose positive che ha, non quelle negative che possono influenzare negativamente: mette da parte i propri dubbi e i propri vizi (non la propria ricerca: nessuno è arrivato!)
- L’educatore non si mette al centro, ma come strumento che conduce ad altro e ad un Altro: non cerca popolarità, ma crea relazioni, si interessa degli altri per poter entrare in dialogo con loro.
- L’educatore non rappresenta se stesso, ma la sua comunità da cui è stato mandato, e a nome della quale agisce
- L’educatore valorizza l’altro, evidenzia il positivo, le potenzialità (e predilige chi non è prediletto). E’ capace di ascolto attento, di donare tempo, attenzioni: l’altro è importante per me.
- L’educatore crea comunità giovanili, non gruppi (chiusi e autoreferenziali). Educa a sentirsi parte di una comunità parrocchiale, una famiglia di cui faccio parte e ha bisogno della mia presenza e del mio contributo, da cui posso trarre testimonianza e sostegno (spirituale e non solo).
- L’educatore educa con la vita (è un testimone) e a limite con le parole: “i bambini ci guardano” e imparano molto dai nostri atteggiamenti.
- L’educatore è amichevole, ma non è “amico” = complice, che si mette sullo stesso piano, che cerca di farsi accettare, che vuol piacere, che ha bisogno di consenso. E’ capace di denunciare gli sbagli e le cose negative, senza far sentire sbagliata la persona corretta (noi siamo ben più dei nostri peccati). Importanza della correzione fraterna.
- Educare alla fede (la fede è un dono, ma va’ accolta, curata, alimentata, protetta, condivisa)
o
Educare alla interiorità (le grandi domande che
abitano in noi, ma che rischiamo di soffocare: Berlicche e la distrazione come
strumento “demoniaco”). Il silenzio, la meditazione, l’arte della “solitudine”
(per stare bene con gli altri dobbiamo imparare a stare bene con noi stessi);
o
Educare alla trascendenza (“non si vede bene che con il cuore.
L’essenziale è invisibile agli occhi”). Educare al bello, all’arte, alla
contemplazione, alla lode…
o
Educare
alla Parola di Dio come “lampada per i miei passi” e in particolare al Vangelo
come Regola di vita
o
Educare
alla preghiera e all’ecclesialità (nella chiesa trovo Dio e chi mi avvicina a
Dio, trovo dei fratelli, trovo dei padri, siamo “popolo di Dio”…), alla
liturgia (preghiera comune, eucaristica: di ringraziamento)
o
Educare
al servizio (= gratuità, compassione, attenzione: “c’è più gioia nel dare che
nel ricevere”; “sii egoista: fai del bene”). Mi prendo cura dei deboli (ma
anche dell’ambiente che mi è affidato, delle cose comuni che utilizzo)
o
Educare
alla giustizia, al rispetto degli altri (= tolleranza, apertura) e della
natura, alla politica (= ricerca del bene comune)
o
Educare
all’affettività (Dio è amore, ci ama e ci insegna ad amare: il “triplice”
comandamento dell’amore)
o
Educare
alla vocazione (ricerca del proprio posto nel mondo, del progetto che Dio ha su
di me e che mi realizzerà, vocazione all’amore e alla santità).
Come Gesù educa:
l’esempio dei discepoli di Emmaus (Lc 25,13-35)
- - Gesù si fa vicino, cammina accanto a noi, “condivide” le nostre delusioni, perplessità, dubbi (ma non lascia soli, non abbandona chi si allontana, chi se va’ deluso);
- - Gesù fa loro delle domande: fa raccontare a loro ciò che stanno vivendo (parlarne aiuta a capire quello che proviamo, a dare nome alle nostre sensazioni). Si pone sullo stesso piano, anzi, come uno straniero che cerca informazioni, che chiede loro di spiegargli le cose;
- - Gesù, dopo averli ascoltati, li invita a rileggere quella realtà narrata da loro (con le lenti oscuranti della delusione, del pessimismo) alla luce della Scrittura che illumina e ridona speranza;
- - Gesù non impone la sua presenza (è pronto ad andarsene se non lo invitano), ma si propone con delicatezza e discrezione. Lascia che siano loro ad invitarlo e accetta il loro invito;
- - E’ a tavola (= Messa: mensa della Parola e del Corpo) che si fa riconoscere, ma come presenza spirituale (reale, ma non fisica; invisibile, ma percepibile come “calore interiore”);
- - Frutto dell’incontro col Cristo è la gioia e il desiderio di tornare in comunità per testimoniare la sua presenza, la gioia dell’incontro: bisogno di condividere le nostre esperienze di fede.