Inculturazione. San Paolo e gli ateniesi
È noto il racconto degli Atti (17,16-34) della visita di San Paolo
all’Areopago di Atene. Qui politica, filosofia e religione trovavano un eminente
punto d’incontro e l’apertura mentale dei filosofi greci permetteva loro di non
escludere alcuna divinità a loro sconosciuta, ma non al punto da scardinare le
certezze teologiche acquisite. Paolo loda la loro apertura e annuncia la fede
cristiana secondo categorie culturali a loro comprensibili. Anziché combattere
il paganesimo, Paolo cerca un punto di incontro per dialogare con loro.
Nel cuore di una
delle istituzioni più celebri del mondo antico, l’Areopago, egli realizza uno
straordinario esempio di inculturazione del messaggio della fede: annuncia Gesù
Cristo agli adoratori di idoli, e non lo fa aggredendoli, ma facendosi «pontefice,
costruttore di ponti»[1].
Papa Francesco invita a “costruire ponti con la cultura, con chi non
crede o con chi ha un credo diverso dal nostro”. A farlo senza aggredire,
piuttosto inculturando “con delicatezza il messaggio della fede”, proponendolo
con un “amore che scaldi anche i cuori più induriti”[2].
Torniamo a Paolo: prendendo spunto dall’altare dedicato al “dio ignoto”
annuncia l’identità di questo Dio. L’ascolto è autentico, finché non inizia a
parlare di Resurrezione: questa risulta inaccettabile, in quanto estranea e
contraria alle loro convinzioni e Paolo viene schernito e deriso. Ma
l’apparente fallimento è in realtà un mezzo successo: alcuni accolgono il suo
messaggio e si convertono. È partito da un terreno comune, senza rinunciare ad
annunciare il cuore della fede: il Cristo morto e risorto.
Cosa significa inculturare la fede? Significa approfondire la
cultura altrui per un dialogo che permetta di evidenziare ciò che ci unisce
rispetto a ciò che ci divide. Significa trovare un linguaggio comune,
comprensibile, per parlare di Dio e rendere possibile l’accoglienza della fede
cristiana. Significa “parlare per dialetti” (Papa Francesco) incarnando la fede
in un contesto concreto. Così afferma il Concilio Vaticano II:
La Chiesa «fin dagli
inizi della sua storia, imparò a esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai
concetti e alle lingue dei diversi popoli: e inoltre si sforzò di illustrarlo
con la sapienza dei filosofi: allo scopo, cioè, di adattare, quanto conveniva,
il Vangelo, sia alla capacità di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale
adattamento della predicazione della Parola rivelata deve rimanere legge di
ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la
capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo e, al
tempo stesso, viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse
culture dei popoli»[3].
Non si tratta
di annacquare il Vangelo o di compiere del sincretismo cercando di mettere
insieme elementi presi dalla fede cristiana e altri presi dalle differenti
credenze religiose o concezioni culturali. Non ci si accontenta di trovare
elementi comuni, rinunciando all'annuncio integrale di tutta la verità. “L'inculturazione,
invece, è un processo aperto che, muovendo degli elementi positivi (e
contraddicendo quelli negativi) di una data cultura, la faccia evolvere verso
un'accettazione sempre più piena della verità quale risplende in Cristo”[4].
Papa Giovanni Paolo II ha affrontato la questione nella sua enciclica Redemptoris
missio del 1990:
La nostra epoca è allo stesso tempo drammatica e
affascinante. Tanto che se da un lato gli uomini sembrano ricercare
ardentemente la prosperità materiale e si tuffano sempre più nel materialismo
del consumismo, dall’altro lato si vede sorgere un’angosciante ricerca di
senso, un bisogno interiore, un desiderio di apprendere delle forme e dei
metodi nuovi di concentrazione e di preghiera. Nelle culture impregnate di
religiosità ma anche nelle società secolarizzate si ricerca la dimensione
spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Il fenomeno che si
chiama "ritorno del religioso" non è senza ambiguità, ma contiene la
sua invocazione. La Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire
all’umanità nel Cristo che si proclama "la Via, la Verità e la
Vita" (Gv 14,6). È la via cristiana che porta
all’incontro con Dio, alla preghiera, all’ascesi, alla scoperta del senso della
vita. Ecco ancora un areopago da evangelizzare (RM, n. 38).
