UNA COMUNITA’ CHE EVANGELIZZA … AMANDOSI
"Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35)
At.
2,42-47
Erano
assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione
fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.
Un
senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli
apostoli.
Tutti
coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa
in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti,
secondo il bisogno di ciascuno.
Ogni
giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa
prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e
godendo la simpatia di tutto il popolo.
Intanto
il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano
salvati.
È il primo dei tre
"sommari" o quadri riassuntivi, mediante i quali Luca descrive, in un
quadro ideale, la prima comunità cristiana a Gerusalemme, perché sia da modello
ad ogni futura comunità cristiana.
La
Chiesa primitiva, descritta negli Atti degli Apostoli, è fondata su quattro
colonne: “l’insegnamento degli apostoli” (il Magistero/catechesi, la formazione,
la Scrittura), “l’unione fraterna” (la carità reciproca), la “frazione del
pane” (la celebrazione eucaristica) e “la preghiera” (personale e liturgica).
“Questo è certo, che
quando una comunità... vive respirando Cristo, dimorando nella Parola,
attingendo alla sua linfa vitale, diventa un segno trasparente delle realtà
eterne, un anticipo dei nuovi cieli e della nuova terra; diventa l’albero
rigoglioso che il salmista contempla lungo corsi d’acqua, carico di buoni
frutti in ogni stagione, che accoglie alla sua ombra, per ristorarli, molti
viandanti esausti. In realtà, chi coltiva assiduamente la Parola, da essa si
trova coltivato e diviene un giardino di delizie in cui Dio stesso ama scendere
e riposare” (Anna Maria Canopi).
Il
testo sottolinea in particolare la comunione fraterna (in greco koinonia),
il reciproco amore “gli uni per gli altri” garantito dalla disponibilità
concreta a mettere in comune i propri beni (materiali e spirituali), fino ad
avere “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Gv 13, 34-35: «Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati... da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli
altri». Era proprio questo stile fraterno a renderli “simpatici” a tutto il
popolo e attraenti, al punto che aumentava quotidianamente il numero dei
fedeli.
La
prima forma di evangelizzazione (simpatia=attrazione) è amarci reciprocamente:
stare insieme, tenere le cose in comune, vivendo di atti comuni, ma soprattutto
vivendo in comunione. Vita comune e vita in comunione: le differenze sono
notevoli. L’obiettivo è avere un cuore solo: non tutti uguali, ma una sinfonia
dove ogni strumento suona una stessa melodia, si armonizza con gli altri.
La
descrizione negli Atti è ideale: subito dopo vengono evidenziati anche i
problemi e le incoerenze, ma ciò non toglie il fascino che questa comunità -
già data, ma anche da costruire - ha avuto nei secoli e continua ad esercitare
anche nella chiesa odierna dove si continua a parlare di ecclesiologia di
comunione e di sinodalità. In tempi di forte individualismo e di relazioni
virtuali più che reali, la Chiesa offre le motivazioni e l’opportunità per
costruire società più fraterne e ospitali. La stessa ricerca di fraternità e di
comunione ha reso particolarmente efficaci ed affascinanti le proposte dei
nuovi movimenti ecclesiali nati per lo più alla fine del secolo scorso:
Focolarini, Comunione e Liberazione, Sant’Egidio, Neocatecumenali, Rinnovamento
nello Spirito… In tutte queste esperienze i rapporti tra i membri sono
improntati sulla comunione e sulla fraternità, orizzontali più che gerarchici,
coinvolgenti ogni stato di vita: laici, famiglie e clero.
Karl Rahner ha affermato:
Noi anziani siamo stati
spiritualmente degli individualisti, data la nostra provenienza e la nostra
formazione (…). Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della
comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare
un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire
lungo questa strada.
Nei primi secoli del cristianesimo si pensava che per arrivare
all’unione con Dio si dovessero dire preghiere, fare penitenze, digiuni, rinunce,
stare da soli con Dio; tutte cose che la singola persona compiva come se gli
altri non esistessero o addirittura fuggendo da loro.
Poi il fratello è diventato oggetto di carità, di opere di
misericordia, di elemosina.
Lo Spirito ci spinge oggi verso la comunione: il fratello non è
più un ostacolo, o solo oggetto di carità, ma diviene la strada privilegiata
per trovare Dio, per vivere l’unione con Dio. Il Concilio, i Papi, i teologi,
tutti spingono ormai ad approfondire la dimensione del rapporto con i fratelli,
con tutti gli uomini, per divenire sempre di più una famiglia, una comunità, “Fratelli
tutti”[1].
La comunione è ricerca di unità nel rispetto delle differenze - unità
nella distinzione -, in una pluralità di forme che si vanno armonizzando in una
comune ricerca di bene e in una condivisione che fa sentire l’altro come parte
di me.
Giovanni Paolo II ha parlato della “spiritualità della comunione”
come del fattore caratterizzante il nuovo millennio: “Fare della Chiesa la casa e
la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta
davanti nel millennio che inizia”. E prosegue: “Prima di programmare iniziative
concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione”. Occorre diventare “casa di comunione”, dove si viva
quotidianamente e concretamente l’amore reciproco, costruendo relazioni
fraterne improntate sulla stima reciproca, su un linguaggio mite e positivo,
sul perdono, sul superamento dei conflitti, sulla condivisione spirituale oltre
che materiale (da cui lo slogan: “non solo vita comune, ma comunione di vita”),
imparando a comunicare e a condividere nella fiducia reciproca. Solo questo
impegno può rendere le nostre comunità e la chiesa intera “scuola di
comunione”, luogo dove si insegna a vivere fraternamente.
I Vescovi
italiani:
La Chiesa
è casa, edificio, dimora ospitale che va costruita mediante l’educazione a una
spiritualità di comunione. Questo significa far spazio costantemente al
fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). Ma ciò è possibile
solo se, consapevoli di essere peccatori perdonati, guardiamo a tutta la
comunità come alla comunione di coloro che il Signore santifica ogni giorno.
L’altro non sarà più un nemico, né un peccatore da cui separarmi, bensì “uno
che mi appartiene”. Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò
condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Insieme, saremo a poco a
poco spinti ad allargare il cerchio di questa condivisione, a farci
annunciatori della gioia e della speranza che insieme abbiamo scoperto nelle
nostre vite grazie al Verbo della vita. Soltanto se sarà davvero “casa di
comunione”, resa salda dal Signore e dalla parola della sua grazia, che ha il
potere di edificare (cf. At 20,32), la Chiesa potrà diventare anche “scuola di
comunione”. È importante che ciò avvenga: in ogni luogo le nostre comunità sono
chiamate a essere segni di unità, promotori di comunione, per additare
umilmente ma con convinzione a tutti gli uomini la Gerusalemme celeste, che è
al tempo stesso la loro “madre” (Gal 4,26) e la patria verso la quale sono
incamminati... (65). Questo nostro cammino avviene sotto lo sguardo di Maria,
la madre del Signore, e conta sulla sua intercessione.”
Una cosa è vita comune, altra è comunione di vita: si può stare
insieme ed essere ben lontani gli uni gli altri, indifferenti se non rancorosi
o disincantati. Altra cosa è avere un cuor solo e un’anima sola.
Preghiamo gli uni per gli altri? Evidenziamo il positivo degli
altri? Cerchiamo il loro bene?
Esercizi di preghiera: elencare una per una le consorelle,
affidarle al Signore, trovare ogni giorno un motivo per ringraziarle come dono
di Dio e non solo come fardello da sopportare.
“Ciò che
rende felice un’esistenza, è avanzare verso la semplicità: la semplicità del
nostro cuore e quella della nostra vita. Perché una vita sia bella, non è
indispensabile avere capacità straordinarie o grandi possibilità; l’umile dono
della propria vita rende felici.. Dio si aspetta che siamo un riflesso della
sua presenza, portatori della speranza del Vangelo. Chi risponde a questa
chiamata non ignora le proprie fragilità, così custodisce nel suo cuore queste
parole di Cristo: “Non temere, continua a fidati!”… Riusciamo a comprendere
che, duemila anni fa, Cristo è venuto sulla terra non per creare una nuova
religione, ma per offrire ad ogni essere umano una comunione in Dio?… Il Cristo
ci chiama, noi poveri del Vangelo, a realizzare la speranza di una comunione e
di una pace che si diffonda attorno a noi. Anche il più semplice fra i semplici
può riuscirci. Avverti una felicità? Sì, Dio ci vuole felici!… e l’umile dono
di sé rende felici”. (Frère Roger, fondatore di Taizé, Lettera da Taizé 2001)
PERSEVERANTI
NELLE PREGHIERE:
“La
preghiera è comunione con Dio e ci rende una cosa sola con lui… La preghiera
non è un atteggiamento esteriore, ma viene dal cuore; non è limitata a ore o
tempi determinati, ma si attua ininterrottamente di giorno e di notte. Non
basta infatti dirigere prontamente il pensiero a Dio solo nei momenti dedicati
alla preghiera; ma anche quando si è impegnati in altre occupazioni, come
l’assistenza ai poveri o altri doveri e opere che arrechino aiuto alle persone,
è necessario mettervi dentro il desiderio e la memoria di Dio, perché queste
occupazioni, rese gustose col sale dell’amore di Dio, diventino per il Signore
un cibo piacevolissimo… La preghiera è la gioia del cuore e la pace dell’anima”
(Giovanni Crisostomo, + 407).