ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (o meglio NELLA SANTA CROCE)
Cos’era
la CROCE? Uno strumento per uccidere
in modo crudele e infamante, riservato ai briganti, agli schiavi, ai maledetti
dagli uomini… La morte di
croce poteva essere augurata come macabra ingiuria per i nemici, come mostra un
graffito trovato sui muri di Pompei: «Che tu sia crocifisso». Oggi diremo “Che
tu possa morire ammazzato”.
Non si vuole
certo esaltare un tale strumento di morte, ma evidenziare come tale strumento
sia diventato in Gesù uno strumento di vita (eterna). Gesù viene INNALZATO/ELEVATO
da terra sulla croce, viene GLORIFICATO/ESALTATO nella croce, cioè viene
mostrata sulla croce la sua GLORIA, ovvero il suo “peso”, la sua identità
divina: sulla croce mostra il suo amore per noi. Ci ha amati fino al punto da
dare la sua stessa vita (umana e divina). Questa è la salvezza che abbiamo
ricevuto.
L’immagine
classica del Crocifisso che troviamo ovunque (molto più dell’immagine
della Resurrezione che troviamo in poche chiese, come nella nostra) ci ricorda
che la morte, anche la più dolorosa, infamante, ingiusta, prematura – come è
stata quella di Gesù – non è la fine della vita, ma il passaggio (doloroso)
dalla vita terrena ad una vita eterna. Una mamma che ha partorito ricorda il
dolore del parto, ma soprattutto la gioia di abbracciare, accudire, amare un
figlio che è nato. Come il chicco di grano che marcisce nel terreno e si trasforma
in germoglio che porterà frutto. Se non muore (marcisce) non porterà mai
frutto, ma rimane nel suo involucro, quello del seme.
La festa
ha un’origine storica: il 14
settembre 327 fu esposta nella basilica costantiniana del Santo Sepolcro a
Gerusalemme, ed adorata per la prima volta la reliquia della croce ritrovata
dalla madre di Costantino, sant’Elena, giunta nella Terra Santa per un pellegrinaggio.
Il Vangelo
accenna al colloquio notturno che Gesù ebbe con Nicodemo, un importante
dottore della legge che vuole conoscere Gesù, ma lo fa di notte, quando non può
essere visto.
Gesù gli disse
che, come nel deserto era stato innalzato da Mosè un segno di salvezza per
Israele (cfr. Nm 21,4-9), così sarebbe stato innalzato il
Figlio dell’uomo, perché chiunque guardasse a lui con fede possa trovare la
vita.
Il
riferimento è all’episodio che ci è stato riportato nella prima lettura:
il popolo d’Israele è in cammino verso la Terra Promessa. È stato liberato
dalla schiavitù egiziana, ma per giungere alla meta deve fare un faticoso e
lunghissimo (40 anni!) cammino nel deserto. La fatica fa mormorare il popolo
che si ribella a Dio e si lamenta con Mosè che lo sta conducendo. Il loro peccato
è velenoso: rischia di scoraggiare, bloccare, dividere da Dio
La prima
lettura mostra che l'immagine bronzea del serpente, dunque di ciò che morde e dà
la morte, innalzata da Mosè e guardata dai figli d'Israele, dona vita e
guarigione (Nm 21,8-9). Guardare in faccia il nostro male, ciò che ci avvelena,
è operazione dolorosa, ma vitale.
Dio
trasforma uno strumento di morte in uno strumento di vita (eterna). Ci mostra
come passare dalla morte alla vita: amando! Non temendo/subendo la morte, ma
accogliendola con fiducia.
La croce è diventata
con Gesù Crocifisso il simbolo del cristianesimo: l’unione dell’asse verticale
(divino: dal Padre al Figlio che si è incarnato come uomo in mezzo a noi) con
quello orizzontale (della comunione che lo Spirito Santo ci aiuta a vivere con
tutti). Gesù è disceso dal cielo, viene da Dio e vuole portarci con Lui a Dio:
si è fatto uomo perché noi potessimo diventare esseri divini.
Esaltare la
croce vuol dire dunque esaltare l’amore senza misura di Gesù. Questo amore
viene esaltato, per esempio, da una mamma che dà la vita per il figlio, dalla
moglie che cura il marito malato di sla, dal medico missionario che spende la
vita per curare le malattie della gente povera, dal giovane che abbandona la
carriera per il volontariato sociale. Lo esaltiamo anche noi quando ci segniamo
con il segno della croce per aver scampato un pericolo, quando ci segniamo
prima di intraprendere un viaggio o un nuovo lavoro, prima di prendere un pasto
o di fare una preghiera. Quando facciamo il segno della croce non come segno
scaramantico è come se dicessimo: grazie o Gesù perché mi hai amato senza
misura. Rendimi capace di amare come te amici e nemici, credenti e non
credenti, buoni e cattivi. Fa’ che la croce non sia un distintivo identitario
che divide e separa ma un simbolo del tuo amore che salva e unisce.