Il cardinal Zuppi e L'Osservatore Romano elogiano Dalla e Battisti, nati 80 anni fa
Il 4 marzo 1943 nasceva Lucio Dalla. Il giorno dopo Lucio Battisti. A ricordarli (ed elogiarli) anche L'Osservatore Romano che ha ospitato una bella riflessione del cardinal Zuppi su Bologna e Lucio Dalla e un articolo su Battisti commentato da Famiglia Cristiana (che da fine febbraio ospita l'omelia quotidiana di don Luigi Epicoco):
Il ricordo del quotidiano della Santa Sede nel giorno in cui il grande cantautore, scomparso nel 1998, avrebbe compiuto 80 anni, essendo nato il 5 marzo 1943 a Poggio Bustone. «Non rientrava nel main stream giovanile di quegli anni», si legge in un articolo a firma di Roberto Cetera, «lo si cantava nei pullman delle gite parrocchiali, o lo si ascoltava nel chiuso della propria stanza. Ma non certo nelle notti delle occupazioni a scuola. Era snobbato dalla cultura giovanile allora egemone. Non c'era traccia di sociale nelle sue canzoni, in un'epoca in cui tutto aveva da essere sociale e politico. Incedeva al surreale al tempo dell'apologia del triste realismo socialista; metteva i sogni in poesia e musica quando si sentenziava, invece, che la cultura fosse sovrastruttura dei rapporti economici. Ma soprattutto parlava d'amore in anni in cui il conflitto era eretto a regola di vita, fino a tramutarsi in astio, poi in odio e poi violenza», scrive il quotidiano vaticano ricordando come venne giudicato da molti: «intimista», «propagatore di una distrazione di massa», «e anche un po’ “fascio” diceva la leggenda metropolitana. Battisti sapeva di essere considerato tale ma se ne infischiava». «Il suo essere controcorrente», continua Cetera, «mi aveva insegnato ad esserlo anch'io. Mi insegnò ad essere libero nella verità. Può sembrare buffo ma fu da lì che cominciai a comprendere che Gesù di Nazareth era più rivoluzionario nella verità di Che Guevara, che i comboniani facevano più bene al mondo di Lotta Continua, che nei Salmi di Salomone c'è più poesia che in Jack Kerouac. In un mondo che prigioniero è il mio canto libero sei Tu».
Bologna per me, come per tanti, è legata a Lucio Dalla e viceversa Lucio rappresenta Bologna, tanto che la sua casa e i suoi itinerari sono meta di visita di tanti che non smettono di volergli bene e di vivere nei luoghi la magia delle sue canzoni. La prima volta che mi sono perduto nel centro storico ho pensato che non era affatto vero che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino! E quando ho attraversato Piazza Maggiore o Piazza San Francesco o Cavour, ho immaginato di incontrare quell’uomo che la viveva come la sua casa e che continua ad insegnare che la piazza è abitata e quindi a pensarci meno anonimi usuari di luoghi comuni, ma membri di quella famiglia che si forma proprio a partire da chi aveva fatto della panchina il suo salotto. E chissà che proprio cercando il modo per dargli una carezza — il suo modo, non il mio o quello che penso io per lui — abbiamo un cuore meno anonimo e indifferente, impariamo a dare e ricevere le carezze, capendo proprio che ognuno ha il suo modo e che se non lo troviamo il problema non è che non vuole amore, ma che noi non abbiamo trovato il modo per darglielo. «Avrei bisogno di pregare Dio» cantava. E quando ognuno di noi trova il modo e il luogo per farlo, ecco che Dio sorride ed è finalmente vicino vicino e capiamo che il modo mio in realtà era proprio quello che Lui desiderava per me e proprio quello che Lui voleva sentire. Lucio Dalla ha saputo riempire di sogni la vita di chi ne aveva pochi. In fondo ero anche io, giovane, quell’amico cui scrisse «per distrarsi un po’». Anche a me preoccupava tanto che si vivesse «con i sacchi di sabbia alla finestra» e che «si uscisse poco la sera (compreso quando è festa)». Lo abbiamo vissuto fisicamente con la pandemia e qualche volta rischiamo di restare a casa e non sapere fare più festa anche adesso. E anche la folla che ha riempito di nuovo le strade non ha tolto però i sacchi di sabbia dalla porta del cuore. Soprattutto «si sta senza parlare per intere settimane», magari connessi con l’universo ma sconnessi con il prossimo. E gli anziani e gli stranieri, lo restano perché nessuno parla con loro! Allora per il suo compleanno gli scrivo anche io:
Caro amico ti scrivo, e ringrazio Dio perché il 4 marzo «un dono di amore» ha reso più pieno di stelle il mondo e ci ha aiutato a vederle. Grazie, caro amico, perché dicevi che Dio più che una ricerca è una presenza e lo sentivi nelle cose della vita, nel lavoro, negli esseri umani, nel fatto che c’è il sole la mattina e la luna di notte. Caro amico dicesti che cercavi — a volte non coerentemente come me — di vivere da cristiano. E hai cercato di interpretare l’aspetto di Dio più legato agli uomini, quindi, per forza di cose, legato a Lui. «Io, personalmente, mi sento dentro un’ampolla che mi connette con l’esterno. Di notte, ad esempio, vado a concentrarmi sulla terrazza di casa mia a Bologna. Non c’è niente che mi divide dal cielo, neanche dal cielo che ho dentro. Le cose mi ronzano intorno: il fischio di un treno lontano, l’abbaiare dei cani, la sirena di una croce rossa, suoni e visioni. Non vorrei essere sacrilego: comincio con le preghiere classiche, dopo viene questo “mantra”. Dentro di me c’è il mio Dio. Mi ha sempre emozionato il fatto che la persona guarita da Lui stava bene non perché finalmente poteva camminare o vedere ma perché, finalmente, aveva trovato qualcuno che si era identificato con lei, l’aveva capito fino in fondo». Sì, caro amico, ti capisce fino in fondo. Ti scrivo ricordandoti come dopo avere incontrato Padre Casali fondatore del Centro San Domenico, hai pensato che «ci sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno». Caro amico, il mondo intorno di sacchi di sabbia ne ha cominciato a metterne di nuovi e a volte vuole costruire muri e scavare trincee per seppellire l’amore. Caro amico, che hai vissuto «in maniera laica senza dimenticare di essere credente» e che dicevi che «sotto ogni forma d’arte c’è Dio e l’arte stessa è un dono divino che unisce la gente e la fa vibrare» ti scrivo che ti ringrazio adesso che sono vecchio ma continuo a cercare l’anno e l’uomo che verrà, per continuare a sperare, perché ci fa contenti in questo momento, cioè per sempre. Grazie, auguri caro amico.