Michela Murgia annuncia la sua morte: un inno alla vita?
La scrittrice sarda (e, a suo modo, cattolica) Michela Murgia ha annunciato in una intervista sul Corriere della Sera che ha fatto molto clamore di avere un tumore e pochi mesi di vita. Ne ripropongo qualche stralcio:
- Non può operarsi?
«Non avrebbe senso. Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello».
- Michela, lei sta dicendo una cosa terribile con una serenità che mi impressiona.
«Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno».
- La morte non le pare un’ingiustizia?
«No. Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi».
«Il dolore non si può cancellare; il trauma sì. Si può gestire. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito. Un tempo per pensare come salutare chi ami, e come vorresti che ti salutasse. Io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family».
- Lei ha avuto una formazione cattolica. Crede ancora in Dio?
«Certo».
- L’ha pregato in questi mesi?
«L’ho pregato e lo prego di far accettare alle persone che mi amano quello che accadrà».
- Come immagina l’Aldilà?
«Non un luogo, ma uno stato sentimentale. Dio è una relazione. Non penso che la vita dopo la morte sia tanto diversa. Vivrò relazioni non molto differenti da quelle che vivo qui, dove la comunione è fortissima. Nell’Aldilà sarà una comunione continua, senza intervalli».
- Con gli altri o con Dio?
«È uguale. Sarà il passaggio dal “non ancora” al “già”».
Tra i commenti segnalo quello dello psichiatra Paolo Crepet che, su La Stampa, parla di "intervista coraggiosa e rivoluzionaria che dà la parola ai morituri". Vedi inoltre il commento su "Esquire", su "Il fatto quotidiano" e su "Huffpost". Sempre sul Corriere anche il commento di Dacia Maraini fortemente criticato da Il Timone che vi legge un comune (della Maraini e della Murgia) odio per la croce.