Cattolici irrilevanti? Un dibattito ecclesiale sulla sua scarsa attenzione verso la cultura.
«Molta morale, poca comunità, zero cultura»: è questa la sintesi dell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi su Avvenire dal teologo Pierangelo Sequeri. Un intervento lucidissimo che dovrebbe aprire un dibattito sulla scarsa attenzione verso la cultura da parte della Chiesa.
Così Roberto Righetto rilancia il dibattito, sempre su Avvenire, chiedendosi "Perchè i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali". Rimanda ad una intervista al cardinale Zuppi di Civiltà Cattolica:
"Eppure la necessità di una presenza, senza pensare a formule ormai superate o a schieramenti monolitici, è stata rimarcata anche dal cardinale Zuppi in una recente intervista a Civiltà cattolica. Il presidente della Cei ha rilevato come, nonostante «certe pregiudiziali negative», in generale vi sia «una buona disponibiltà al confronto e al dialogo da parte di molti». Ed è certamente vero: si pensi ai passi avanti compiuti negli ultimi decenni per quanto riguarda il dialogo fra credenti e non credenti. Ma Zuppi ha anche onestamente ammesso come oggi l’apporto dei cattolici al mondo della cultura, per quanto «prezioso», faccia «molta fatica a trovare delle modalità espressive», anche a causa di «una certa timidezza davanti ad atteggiamenti a volte aggressivi di una certa cultura dominante». E infine ha invitato a mettere in campo «quella fantasia creativa che sa superare muri e steccati»".
E ancora, sempre Righetto:
"Ricordo quanto rispondeva lo scrittore americano David Foster Wallace, a chi gli chiedeva da dove venisse il suo interesse verso la Chiesa cattolica: «Mi interessa la religione, solo perché alcune chiese mi sembrano posti dove si può parlare di certe cose. Che senso ha la nostra vita? Crediamo in qualcosa di più grande di noi?».
Se sta qui, credo, la centralità del messaggio cristiano, c’è l’altro punctum dolens da cui siamo partiti: l’importanza della cultura. Per porsi come segno di contraddizione, come lo erano le prime comunità cristiane, oltre al discorso fondamentale della resurrezione dei corpi, occorre accettare due sfide: il primato della cultura – e la riscoperta dell’immenso patrimonio teologico del cristianesimo – e la consapevolezza che l’evangelizzazione oggi si svolge anche attraverso il bello e il buono. Da parte sua, la scrittrice Flannery O’Connor metteva in guardia da un fenomeno ancor oggi ben presente: non c’è nulla di più lontano dal cristianesimo che l’ottimismo vuoto e il sentimentalismo che affligge tanti cattolici e che nasconde il male nel mondo.
Un esempio? La paccottiglia spirituale che imperversa nelle librerie religiose, oggi come ieri, quegli opuscoli edificanti tutti basati sui buoni sentimenti che edulcorano la realtà. C’è il rischio di una “sottocultura” nel mondo cattolico, per cui si guardano solo quei film o si leggono quei libri che dicono bene del cristianesimo".
Invita a fare: "un lavoro di rete, di comunione e di alleanze. Senza invidie, gelosie o piccinerie.
Iniziativa tutta da costruire e che può coinvolgere parrocchie e movimenti, centri di animazione culturale e certamente senza ignorare le potenzialità della Rete, come in Francia recentemente è stato fatto con “1000 raisons pour croire”, un sito web da consultare che raccoglie domande e risposte sulla ragionevolezza della fede cristiana, un’opera di evangelizzazione attraverso la diffusione della conoscenza, un approccio multidisciplinare che coinvolge teologia, filosofia, storia, arte e letteratura, un messaggio forte che possa essere ascoltato nello spazio pubblico. Ma tantissime altre idee possono essere messe in campo, mentre si ha l’impressione che la cultura sia svalutata e che si faccia coincidere l’impegno nel sociale solo con la carità. Eppure, la fede cristiana non si esprime al di fuori della cultura (o delle culture) e c’è bisogno di un nuovo immaginario della fede che attragga i giovani. E senza cultura non è possibile".