Omelie per la II domenica di Pasqua (o della divina misericordia): Rosini, Ronchi, Piccolo...
Omelie di p.Tino Treccani e p.Stefano Liberti, CRIC
Omelia di Ermes Ronchi (Avvenire): "Le ferite di Gesù, alfabeto dell'amore"
Venne Gesù a porte chiuse. In quella stanza, dove si respirava paura, alcuni non ce l'hanno fatta a restare rinchiusi: Maria di Magdala e le donne, Tommaso e i due di Emmaus. A loro, che respirano libertà, sono riservati gli incontri più belli e più intensi. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: l'abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare; li ha inviati per le strade, e li ritrova chiusi in quella stanza; eppure non si stanca di accompagnarli con delicatezza infinita. Si rivolge a Tommaso che lui stesso aveva educato alla libertà interiore, a dissentire, ad essere rigoroso e coraggioso, vivo e umano. Non si impone, si propone: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. Gesù rispetta la fatica e i dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del credere; non si scandalizza, si ripropone. Che bello se anche noi fossimo formati, come nel cenacolo, più all'approfondimento della fede che all'ubbidienza; più alla ricerca che al consenso! Quante energie e quanta maturità sarebbero liberate! Gesù si espone a Tommaso con tutte le ferite aperte. Offre due mani piagate dove poter riposare e riprendere il fiato del coraggio. Pensavamo che la risurrezione avrebbe cancellato la passione, richiusi i fori dei chiodi, rimarginato le piaghe. Invece no: esse sono il racconto dell'amore scritto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite, incancellabili ormai come l'amore stesso. La Croce non è un semplice incidente di percorso da superare con la Pasqua, è il perché, il senso. Metti, tendi, tocca. Il Vangelo non dice che Tommaso l'abbia fatto, che abbia toccato quel corpo. Che bisogno c'era? Che inganno può nascondere chi è inchiodato al legno per te? Non le ha toccate, lui le ha baciate quelle ferite, diventate feritoie di luce. Mio Signore e mio Dio. La fede se non contiene questo aggettivo mio non è vera fede, sarà religione, catechismo, paura. Mio dev'essere il Signore, come dice l'amata del Cantico; mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato è mio e io sono per lui. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Tommaso, beati piuttosto quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine alla mia portata: io che tento di credere, io apprendista credente, non ho visto e non ho toccato mai nulla del corpo assente del Signore. I cristiani solo accettando di non vedere, non sapere, non toccare, possono accostarsi a quella alternativa totale, alla vita totalmente altra che nasce nel buio lucente di Pasqua.Omelia di don Fabio Rosini (Famiglia Cristiana)
(Letture: Atti 5,12-16; Salmo 117; Apocalisse 1,9-11.12-13.17-19; Giovanni 20,19-31)
Omelia di p. Gaetano Piccolo (blog): "Mi sono chiuso dentro! E non ho alcuna voglia di uscire"Gesù risorto appare ai discepoli e dà loro lo Spirito Santo, che estende il perdono dei peccati, vero principio della vita nuova. Ma Tommaso non è presente. Una lettura super ficiale ha trasformato questo discepolo in una fi gura negativa facendone il prototipo dell’incredulità… Ma se da una parte la sua professione di fede – «Mio Signore e mio Dio!» – resta la più alta di tutto il Nuovo Testamento, d’altro canto quel che Tommaso dice prima è semplicemente ovvio: anche i suoi fratelli non hanno creduto a Maria di Magdala che gli aveva annunciato Cristo risorto. Infatti il testo recita: «Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore». In un certo senso, quando Tommaso dice: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi… e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo», sta dicendo: “Se non faccio la vostra stessa esperienza, come posso entrare in quel che voi mi dite? Voi stessi non avete creduto prima!”.Ma cosa è mancato veramente a Tommaso, dov’è stata la sua lacuna? Perché non ha fatto anche lui questa esperienza?È chiamato Dìdimo, che in greco vuol dire gemello, un gemello non potrà mai essere un unico, qualsiasi cosa faccia o ovunque vada, è un fratello! Ma c’è questa cosa curiosa: proprio lui, il Dìdimo, il fratello dalla nascita, nel giorno più importante della fraternità cui appartiene, il giorno della Risurrezione del loro Signore, non sta con loro. Sta per conto suo, ha disobbedito al suo essere Dìdimo.Per trovare Cristo risorto cosa dovrà fare? «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse». Gesù torna in mezzo ai discepoli e questa volta Tommaso c’è. Questi otto giorni dopo, secondo il computo ebraico, sono una settimana esatta, scansione che inaugura il ritmo settimanale dell’appuntamento con il “giorno del Signore”, il dies dominici, la domenica.GLI MANCAVANO I FRATELLI. Perché Tommaso passi dall’incredulità alla fede deve tornare a essere Dìdimo; quel che gli mancava in realtà erano i fratelli. Quando starà con loro, allora vedrà il Signore come loro lo hanno visto e si preparerà, come loro, al tempo in cui crederanno senza vederlo, quando cioè lo mostreranno nella sua carne, non lo vedranno ma lo faranno vedere. Ma per arrivarci devono stare insieme nella liturgia domenicale.La fede cristiana non è un fatto privato, individuale. Nessuno incontra il Signore risorto se non all’interno della comunione fraterna. Se la Risurrezione non conduce alla comunione ecclesiale, allora non è la Risurrezione del Signore ma un perfezionismo individualistico o un prodotto della nostra immaginazione. La Risurrezione è fondamentalmente un’esperienza fraterna, ecclesiale. L’intera fede cristiana si coniuga al plurale. La forma originale greca del Credo è: «Noi crediamo…». Il Padre che invochiamo non è “mio” ma “nostro”. La fede si riceve nella Chiesa. Credere è qualcosa che facciamo insieme ad altri.La sorgente e insieme la mèta della fede è stare con i fratelli.